Grazie ad una testimone, esteso il capo d'imputazione per i due carabinieri e sei poliziotti imputati. È un nuovo inizio per l'inchiesta sulla morte di Giuseppe Uva. A sei anni dall'ultima notte del 42enne artigiano, era il 14 giugno del 2008, i due carabinieri e i sei poliziotti che lo arrestarono e lo trattennero per ore nella caserma di via Saffi siedono sul banco degli imputati, indagati di omicidio preterintenzionale, abuso dei mezzi di contenzione, arresto illegale e abbandono d'incapace.
Cade così il velo di omertà e silenzi che da sempre circonda questa vicenda: per arrivare questo punto, infatti, è servito che il gip ordinasse l'imputazione coatta degli agenti due mesi fa, mentre per anni la procura aveva negato che ci fosse una relazione tra la morte dell'uomo e quanto accaduto durante il suo arresto.
In un'ora e mezza di udienza preliminare c'è stato il tempo per scoprire un nuovo tassello del mosaico accusatorio: secondo il procuratore Felice Isnardi - che ha sostituito il contestatissimo Agostino Abate, finito sotto inchiesta al Csm per come ha condotto le indagini - "le misure di rigore e contenzione sono state applicate non solo nella caserma, ma anche all'ospedale".
È il frutto dell'ultimissimo segmento delle indagini: gli investigatori hanno infatti ascoltato nei giorni scorsi tutti i medici e gli infermieri presenti all'ospedale la notte in cui Uva morì. Tra questi, l'operatrice socio-sanitaria Assunta Russo, che ha dichiarato di aver sentito due agenti dire: "Adesso gli diamo una menata di botte", riferendosi alla vittima.
Lei lo aveva visto circondato da cinque o sei persone, mentre urlava e si dimenava, all'ingresso del pronto soccorso. Poi, due agenti si sarebbero chiusi in bagno con Giuseppe, che ne sarebbe uscito con un evidente segno sul naso. La testimone, però, non è stata in grado di dire se l'ecchimosi fosse presente o meno in precedenza.
Durante l'udienza, è stata anche stralciata la posizione di uno dei due carabinieri imputati che ha chiesto e ottenuto il dibattimento con giudizio immediato. Posizione condivisa anche dalla famiglia Uva, rappresentata dall'avvocato Fabio Anselmo. In questo caso, però, la celebrazione rapida del processo viene richiesta a causa del troppo tempo sprecato sin qui, dal 2008.
Il rischio, infatti, è che i reati cadano in prescrizione: con la ex Cirielli si può arrivare a guadagnare circa un anno e mezzo di tempo al massimo, non moltissimo per attraversare tre gradi di giudizio. Malgrado le molte incognite che ancora pesano sull'avvenire del procedimento, la sorella di Giuseppe Uva, Lucia, è apparsa raggiante: "Finalmente un processo vero - ha detto -, finalmente respiriamo aria di verità". In aula era presente anche Domenica Ferrulli, figlia di Michele, morto il 30 giugno del 2011 a Milano, mentre lo arrestavano in via Varsavia.
Il prossimo appuntamento è fissato per lunedì 9 giugno, quando il gup Stefano Sala dovrà pronunciarsi sul rinvio a giudizio degli uomini in divisa. Quattro giorni dopo, in tribunale sarà ascoltata Lucia Uva, per l'udienza preliminare che la vede indagata per diffamazione nei confronti dei carabinieri, insieme al documentarista Adriano Chiarelli, all'inviato delle Iene Mauro Casciari e Luca Tiraboschi.
Tra i procedimenti che corrono paralleli al processo Uva, da segnalare quello a carico del poliziotto Luigi Empirio, arrestato nei giorni scorsi per un giro di mazzette all'aeroporto della Malpensa. L'agente dovrà rispondere dei reati di corruzione e atti contrari al dovere d'ufficio, con l'ipotesi di falso in atto pubblico. Nell'ambito dell'inchiesta, condotta dai carabinieri di Saronno, diciassette persone sono finite in manette, tra loro diversi pubblici ufficiali.