Giuseppe Uva, l'uomo morto il 14 giugno 2008 dopo aver trascorso parte della notte in una caserma a Varese, avrebbe subito violenze da parte delle forze dell'ordine in ospedale, dove era stato ricoverato con trattamento sanitario obbligatorio. Lo ha raccontato al programma televisivo 'Chi l'ha visto?' una donna che ha detto di essere stata presente in ospedale all'arrivo di Giuseppe Uva. La testimonianza andrà in onda nella puntata di domani sera, su Rai Tre. «C'erano guardie e carabinieri. E lui, Giuseppe Uva, continuava ancora a urlare: 'bastardi!'», ha raccontato la donna secondo un'anticipazione pubblicata sul sito internet del programma televisivo.
«Allora uno di quelli, carabiniere o poliziotto questo non so, ha detto: 'Basta adesso, finiamola'. Poi si è rivolto a dei colleghi così: 'Portiamolo di là e gli facciamo una menata di botte'. Loro - sempre secondo il racconto della testimone - hanno aperto una porta e poi hanno chiuso. All'uscita - ha riferito la donna - ho notato che lo sorreggevano bene. Io in quel momento ho guardato lui e al naso aveva questa escoriazione. Ho sentito dire: 'prendete la barella, che lo mettiamo sulla barella'. Difatti l'hanno messo sulla barella e poi hanno chiamato il dottore, che gli ha messo la flebo».
Il caso Uva rivela il suo carattere di caso di malapolizia nonostante i sei anni trascorsi da un pm a inseguire la pista della malasanità smontata pezzo per pezzo nei processi al medico. Ancora una volta il programma Chi l'ha visto diventa uno dei vettori per una battaglia di verità e giustizia come nel caso Aldrovandi. Un passaggio non scontato visti della polizia con la trasmissione, abituato a collaborare piuttosto che a sentirsi sotto accusa il Viminale proverà anche stavolta a esercitare pressioni sul programma di Rai3?
Intanto i pm Abate e Arduini, che per oltre cinque anni nemmeno s'erano sognati di interrogare l'unico testimone di quella notte in caserma, lo avrebbero fatto solo alla fine del 2013, hanno chiesto la fissazione dell'udienza preliminare per il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale di otto tra agenti e carabinieri ma i due avrebbero formulato le accuse in un modo tale da costruire imputazioni deboli per illogicità e contraddittorietà ("Il capo d'imputazione formulato non abbia rispettato le prescrizioni imposte dall'ordinanza del gip [.] che manifesti profili di illogicità e contraddittorietà rispetto al titolo dei reati ipotizzati"). Per questo il procuratore generale di Varese Felice Isnardi ha rimosso i due pm e si è autoaffidato il fascicolo: sosterrà lui in udienza preliminare le accuse che il gip di Varese Giuseppe Battarino ha indicato nel respingere la richiesta di archiviazione lo scorso 11 marzo. In Procura, a Varese, si sentono voci su un rinvio di Abate al Csm e la famiglia di Uva sta pensando di chiedere i danni ma resta, concreto, il rischio della prescrizione.
«Sarei ipocrita se non mi dichiarassi soddisfatto - dice a Popoff, Fabio Anselmo, uno dei legali della famiglia Uva, con Alessandra Pisa e Fabio Ambrosetti - ma da questa vicenda la giustizia esce a pezzi e senza rispetto per i magistrati che ogni giorno si spendono per la verità. Da sei anni subiamo l'ostilità del pm e aspettiamo accertamenti che ancora non vengono fatti. Non vedo altra spiegazione di questo nell'atteggiamento psicologico che ha portato al capo di imputazione illogico e "sucida" che gli è costato il caso».
«Sono un po' felice e un po' amareggiata, un po' di tutto. E' una buona notizia - dichiara a Crimeblog Lucia Uva, la sorella - si potrebbe anche dire una vittoria, però è anche una sconfitta: in questi sei anni questo pm mi ha proprio torturata, come ha torturato Giuseppe; è stata una battaglia lottata. Ci aspettiamo che adesso parta il vero processo perchè Giuseppe è come se lo avessero ucciso ieri ed oggi si cominciano le ricerche sul perchè sia morto. Questa è la verità. Noi chiediamo che venga fatta luce e i reati che resteranno in piedi vengano pagati tutti per intero».