Bianzino venne arrestato a casa sua. Coltivava cannabis. Morì nel carcere di Capanne a Perugia. Suo figlio Rudra: "Senza quella norma sarebbe vivo". Se penso che mio padre è morto per una legge ingiusta. Se vedo cosa sta accadendo adesso nel mondo a proposito della liberalizzazione delle droghe leggere e penso che noi stiamo con la Fini-Giovanardi. Beh, se penso a questo sì, mi sale la rabbia".
Vi ricordate di Rudra Bianzino? Rudra era un ragazzo di 14 anni quando suo padre - e sua madre - vennero arrestati per una decina di piante di marijuana coltivate nel terreno davanti casa. Suo padre Aldo non tornò più, morì appena due giorni dopo in carcere in una vicenda nera e mai chiarita che ricorda molto quella di Cucchi e di Aldrovandi, ma che è anche conseguenza diretta di una normativa che allora, come oggi, prevedeva la galera per il consumo personale di droghe leggere. Sono passati sette anni da allora, era il 12 ottobre del 2007.
Alla vigilia della sentenza della Consulta che dovrà dire se quelle norme sono incostituzionali Rudra (che per gli induisti significa colui che allontana dai dolori) aspetta la decisione con il disincanto di una persona che ha dovuto imparare in fretta.
"Alla fine - dice - se dovessero dichiararla incostituzionale, non so se sarà peggio o meglio per me perché quella legge ha ammazzato mio padre". Il 21 febbraio si aprirà il secondo grado del processo per omissione di soccorso che vede imputata solo una guardia giurata per omissione di soccorso. Quello per omicidio colposo invece non ha avuto seguito.
"Hanno coperto tutto - dice Rudra. Non è stato possibile in nessun modo accertare la verità. Pensi che le indagini sulla morte di mio padre sono state affidate alla polizia penitenziaria, cioè a quelli che dovrebbero essere potenzialmente imputati. Le sembra normale?". Accadeva sette anni fa, Rudra che parla senza commozione perché ha imparato a contenerla, ricorda tutto come fosse ieri.
"Arrivarono a casa con modi spicci. Presero le piante, presero tutti quello che trovarono per fare peso...per dimostrare che era tanta. Mio padre si autoaccusò, ma presero subito anche mia madre. Io restai in casa con mia nonna che aveva 90 anni. Non hanno nemmeno avuto il riguardo di controllare se avevo bisogno di assistenza. O se mia nonna fosse autosufficiente. Per fortuna lo era. Due giorni dopo mia madre tornò a casa, mio padre no. La polizia si rifece viva quel giorno, con mia madre. Le fecero una serie di domande strane, volevano sapere se mio padre soffrisse di qualche malattia. Lui era già morto ma noi non lo sapevamo ancora.
Non credo che dimenticherò mai come mia madre seppe della sua morte, quella frase. La stavano ancora interrogando sullo stato di salute di mio padre quando lei domandò: "Quando posso vederlo?". "Tra due giorni dopo l'autopsia... risposero".
Aldo Bianzino aveva quarantaquattro anni, faceva il falegname e viveva a Pietralunga vicino Perugia. La cannabis che coltivava in giardino era per uso personale. Non si è mai saputo cosa accadde nelle 48 ore trascorse dietro le sbarre. Le perizie di parte parlarono di morte per aneurisma. Ma proprio l'autopsia e poi i rapporti del medico legale voluto dalla famiglia dissero invece che Aldo Bianzino aveva il fegato staccato e diverse costole rotte come se fosse stato picchiato. Il processo per omicidio colposo si chiuse con la conclusione che non erano state le botte a provocare quelle lesioni così violente, mail massaggio cardiaco per rianimarlo eseguito, tra l'altro, da due infermiere.
"Me lo devono ancora spiegare - dice Rudra - come hanno fatto due infermiere professioniste a provocare il distacco del fegato con un massaggio cardiaco". Tant'è. Pochi mesi dopo morì anche la mamma di Rudra, Roberta Radici. Epatite C. E poi anche la nonna. Il suo caso finì su tutti i giornali, anche grazie a una sottoscrizione di Grillo. Poi più nulla. Il silenzio.
I processi che si perdevano e l'unico appiglio su quel procedimento per omissione di soccorso che è ancora in corso ma che non può da solo ristabilire la verità. "Nell'ultima udienza del processo per omissione di soccorso è venuto un medico che si chiama Fineschi che ha fatto la differenza dimostrando addirittura che le foto dell'aneurisma era foto di repertorio". Rudra non si è mai arreso.
Ha finito il liceo, ora ha un lavoretto, e il prossimo anno vorrebbe iscriversi a Scienze politiche, a Roma. Ha in testa di occuparsi di sociale. Di persone che hanno subito la malagiustizia come lui. "Certo che è una vicenda che mi ha rovinato la vita. Io ancora oggi sono Rudra Bianzino, quel Rudra Bianzino a cui sono accadute certe cose.
Quella vicenda sono io. E questo non si può capire se non l'hai vissuto, per questo bisogna fare qualcosa di concreto per tutti quelli come me". "Ora, mio padre avrà anche avuto le sue colpe ma... si vede come sta andando il mondo. Le leggi sulla droga sono molto diverse in Spagna, in Germania, in Portogallo... Non serve nemmeno guardare all'America. Se sarà abrogata.... Certo, mio padre è stato ucciso per una legge che non esiste più... Per me forse è ancora peggio".