LE INDAGINI
Aveva tempo fino a questa mattina il pm Agostino Abate per portare a termine le indagini sulla morte di Giuseppe Uva che in cinque anni ha sempre rifiutato di fare. Quelle sul pestaggio subito dall'operaio di Varese tra il suo arrivo nella Caserma dei Carabinieri e il decesso in ospedale il 14 giugno 2008. Ora, però, almeno un processo si fará: nei giorni scorsi il Csm ha ricevuto i due atti di incolpazione a carico del magistrato promossi dal ministro della Giustizia e dal Procuratore generale della Cassazione. E a gennaio la sezione disciplinare del Csm convocherà Abate per pronunciarsi sulle accuse di «ignoranza e negligenza inescusabile», «ingiusto danno alle parti» e comportamento «gravemente scorretto», per un totale di sei illeciti disciplinari, tre dal Guardasigilli e tre dal Pg.
LA VICENDA
La storia di Giuseppe Uva sembra la trama di un film ambientato nella província americana: all'alba del 14 giugno 2008 una pattu- glia di carabinieri lo ferma mentre è in giro per le strade di Varese, ubriaco, insieme ad un amico. Fa l'operaio gruista, non ha precedenti penali, ma viene comunque inseguito, ammanettato e portato nella Caserma dei Carabinieri di via Saffi anche se dei verbale di fermo o di arresto non sarà mai trovata traccia. Per tre ore resta solo in compagnia di dieci tra carabinieri e polizíotti accorsi in caserma, mentre l'amico, Alberto Bigioggero, dalla stanza accanto, sente urla incessanti e prova persino a chiamare un ambulanza. Alle 8.30 di mattina viene portato al pronto soccorso e meno di due ore dopo Giuseppe Uva muore. Il pm di turno, appunto Agostino Abate, decide fin dal primo momento che la responsabilità di quanto accaduto sia da rintracciare nel comportamento dei medici che hanno curato Uva e rifiuta di ascoltare le denunce della sorella di Giuseppe, Lucia, che chiede di indagare sul pestaggio. A settembre del 2009 la iscrive con l'accusa di diffamazione aggravata. Contemporaneamente, ed è su questo che si basa uno dei tre capi di incolpazione del ministro della Giustizia, rifiuta di ascoltare la testimonianza di Bigioggero, presente accanto ad Uva fin dal momento del fermo. Il 28 giugno 2012 il Tribunale di Varese assolte il medico che Abate aveva portato a giudizio e trasmette nuovamente gli atti al pm invitandolo a fare nuovi accertamenti «con riferimento agli accadimenti occorsi tra l'intervento dei Carabinieri e l'ingresso di Giseppe Uva al Pronto soccorso». Lui, «senza svolgere alcuna indagine ulteriore», si legge nell'incolpazione del Pg della Cassazione, il 27 giugno 2013 presenta «una richiesta di rinvio a giudizio per Lucia Uva e contestuale richiesta di archiviazione per il personale dei Carabinieri e della Polizia di Stato». Il gip di Varese più volte rifiuta l'archiviazione e gli impone nuove indagini. L'ultimo termine scade appunto oggi.
IN UDIENZA
L'atto di accusa da parte del Pg parla anche delle violazioni avvenute nel corso di diverse udienze, contrarie al «dovere di lealtà processuale e correttezza». Il collegio dei periti sarebbe stato «intimidito», durante il procedimento a carico di due sanitari Abate «affermava contrariamente al vero di avere già svolto le indagini preliminari anche nei confronti di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine» e avrebbe smentito in udienza anche l'attuale presidente della commissione Diritti umani Luigi Manconi sul fatto che Uva fosse stato ammanettato, sebbene l'uso delle manette «risultava dalle relazioni di servizio».
«Devo ringraziare il professor Manconi dell'associazione A buon diritto e il mio avvocato Fabio Anselmo per tutto quello che hanno fatto», sorrideva ieri pomeriggio Lucia Uva: «Finalmente ho di nuovo fiducia in questa giustizia».