«C'era un detenuto accanto a me che chiedeva del dottore. Poi una guardia fece: "Il dottore appena ha voglia viene". Poi passa un'altra guardia, più giovane, che chiese: "Ma cosa vuole questo qui che urla, urla, urla". Gli risposero: "Vuole il dottore". Questo qua, il poliziotto giovane, si girò verso il detenuto e disse: "Cosa vuoi che ti curiamo noi, come si è fatto al Lonzi?". E io questo lo dichiarai al pm». Questo episodio è stato raccontato da un ex detenuto del carcere "Le Sughere" di Livorno intervistato in forma anonima da un reporter della trasmissione de "La7" "Linea Gialla". Il riferimento è al ventinovenne Marcello Lonzi, che venne trovato morto nella sua cella, proprio nel carcere di Livorno dieci anni fa.
Una testimonianza che riapre il caso, mai risolto, di quella morte. Una testimonianza che rilancia la speranza dei genitori di Marcello, che chiedono verità. «Da dieci anni cerco giustizia. No, non è esatto. Perché alla giustizia non ci credo più. Sono dieci anni che cerco la verità», ha dichiarato Maria Ciuffi, la mamma.
L'11 luglio 2003 Marcello Lonzi viene trovato morto nella sua cella quando mancano solo tre mesi alla sua scarcerazione. La perizia del medico legale è chiara: Marcello è morto per cause naturali, infarto per aritmia. Dal 2003 a oggi tre diverse procure archiviano questo caso. Per la giustizia italiana non c'è stato alcun pestaggio.
Ma la perizia, anzi, le perizie, risulteranno poi approssimative, e piene di falsità e di omissioni. Ecco la ricostruzione della stesura delle perizie fatta da Alberto Bellocco, medico legale che si è occupato del caso Lonzi: «Il problema è rappresentato dalla prima e dalla seconda autopsia. La prima autopsia descrive un'unica frattura costale e tre lesioni occipitali, ma senza nessuna incidenza. Il consulente del pubblico ministero conclude che il Lonzi è stato male, ha avuto un problema di tipo cardiaco. E quindi è caduto in terra e si è fratturato una costola. Stiamo parlando di un ragazzo di trent'anni, alto un metro e ottantatré, settantasette chili di peso. Quindi, non un anziano con osteoporosi. Cade in terra e si è fratturato una costola. Dopo varie insistenze della madre di Marcello viene fatta una nuova autopsia sul corpo esumato, a distanza di tre anni. Lì sembra il racconto dell'incredibile. Si scopre che Marcello aveva sette costole rotte, che aveva lo sterno fratturato. Il medico che ha fatto da consulente dà delle giustificazioni, sostenendo tutte quelle fratture costali fossero secondarie a un massaggio cardiaco. È possibile che sia stato un massacro cardiaco».
La madre di Marcello: «Sono entrata in possesso della perizia e grazie alla riesumazione della salma di mio figlio, avvenuta nel 2006. Ho scoperto che Marcello aveva sette costole rotte, due buchi in testa, un polso fratturato, quello sinistro, e addirittura è stata trovata nella pelle la vernice blu scura della cella. C'è qualcosa che non torna, semplicemente e tragicamente, anche dalle foto scattate sul corpo martoriato di mio figlio si vedono le botte e io voglio la verità. Come è spiegabile da una persona onesta, la striscia di sangue fuori dalla cella si vede dalle foto».
L'ex detenuto a Livorno ha raccontato anche altre cose: «Lo menavano. Lo menavano. A Livorno esistono le cosiddette celle lisce. Sono celle in cui non c'è né il letto né null'altro. C'è un materasso in terra. È lì dove ti menano. A me hanno spaccato i denti davanti per essere tornato con dieci minuti di ritardo da un permesso. Quando sei giù all'isolamento prendono il telefono e dicono: "Mi manda la squadretta?". Vengono in quattro, cinque, sei. E vengono con le tute mimetiche, con gli scarponi, con i manganelli, con sacchetti pieni di sabbia. E te le danno anche con quelli. Perché con i sacchetti pieni di sabbia all'esterno non vedi l'ematoma. Rimane all'interno».
«Che Marcello abbia litigato la mattina ci credo. Perché il carattere di mandarti a fanculo ce l'aveva. Secondo me Marcello è morto per tutte le botte che gli hanno dato. Laggiù gli hanno dato le botte, hanno chiamato la squadretta, in isolamento, poi l'hanno preso e l'hanno portato su, con l'ascensore. Non mi vengano a dire che cascando in terra ti rompi otto costole, due buchi in testa, i denti rotti, ma mandibola rotta, il polso rotto. Dalle botte che ha preso gli è venuto un infarto», ha concluso il testimone.
Maria Ciuffi: «Mio figlio è morto sicuramente per un pestaggio. Io non sono un medico. Ma non sono nemmeno scema».