Nelle carceri italiane si muore. Non solo suicidi - secondo il Dossier "Morire di carcere" solo nel 2013 si contano 42 morti suicide - e gesti di autolesionismo - punta dell'iceberg di vari disagi - ma molti casi di "morti misteriose" che fanno ipotizzare ad abusi di potere avvenuti dentro e fuori le carceri. Non solo il caso di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, come loro anche la storia di Giuseppe Uva, raccontata dalla. sorella Lucia. Esistono tanti tipi di omertà, non solo quella legata alla criminalità. A rompere il silenzio su un'altra storia simile a quella di Stefano Cucchi e di Federico Aldrovandi è Lucia, sorella di Giuseppe Uva, morto il 14 giugno del 2008 dopo una notte passata nella caserma di via Saffi a Varese..
In riferimento alla situazione delle carceri italiane, Ristretti Orizzonti ha stilato un dossier "Morire di carcere" dove sono stati raccolti dati sulle tipologie di morti, sulle vicende di assistenza sanitaria negata ed altre situazioni "anomale" avvenute dal 2000 ad oggi.
Alla voce "suicidi", solo in quest'ultimo anno, si contano già 42 morti. I dati raccolti non combaciano con quelli trasmessi dal Ministero della Giustizia: secondo il dossier ben 1/3 delle morti registrate sono suicidi. Il Ministero, invece, ne classifica circa 30 in meno perché i detenuti che escono vivi dal carcere e magari muoiono in ambulanza non vengono conteggiati in questa raccolta dati. Le "morti non chiare" - ovvero quelle dove c'è l'ombra di un pestaggio da parte di altri detenuti o agenti - sono solo la punta dell'iceberg di un fenomeno sempre più dilagante: per un detenuto è difficile denunciare qualsiasi violenza subìta in carcere per timore di ritorsioni. Aumentano i casi in cui, i familiari delle vittime, denunciano possibili abusi di potere da parte di agenti dentro e fuori le carceri. Come Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, c'è anche la storia di Giuseppe Uva. Così ci racconta la sorella Lucia.
La notte del 14 giugno 2008, Giuseppe Uva insieme all'amico Alberto Biggiogero vengono portati in caserma a Varese. Perché?
Mio fratello Giuseppe e il suo amico Alberto quella sera avevano bevuto un po' ma non erano ubriachi come è stato detto. Il tasso alcolemico di mio fratello, come risulterà poi dalle analisi, era di 1,6. In pratica avevano transennato via Dandolo e così alcuni cittadini hanno chiamato i carabinieri. Quando è arrivata la gazzella, uno degli agenti che conosceva mio fratello ha subito detto "Uva proprio te cercavo questa notte. Non te la faccio passare liscia". Secondo quanto riferisce anche Alberto, subito si sono scagliati con violenza su mio fratello. Giuseppe è stato trattenuto in caserma contro la sua volontà dalle 2.30 di notte fino alle 5.30 del mattino - oltre che ammanettato per ben tre volte, a differenza di quanto ha detto il pm Abate.
Perché l'agente lo conosceva?
Perché, in pratica, Giuseppe aveva avuto una questione personale con un'agente di quella caserma.
Alberto Biggiogero è testimone oculare. Che riferisce di quella notte?
Alberto dice che mio fratello è stato portato in un'altra stanza e lì lo sentiva urlare "Aiuto, aiuto. Basta, basta". Questo per tre ore, tanto che ha chiamato con il suo cellulare anche il 118 per soccorrerlo ma in caserma hanno negato, rimandando indietro l'ambulanza e definendoli "ubriachi". Ma se mio fratello era davvero così ubriaco da picchiarsi da solo, come hanno detto, perché non è stato portato subito in ospedale anziché tenerlo per ore in caserma?
Biggiogero è stato mai interrogato dal pm?
No, mai. Come lui neanche io che, anzi, sono stata accusata di aver manipolato il corpo perché in obitorio l'ho fotografato.
Giuseppe morirà in ospedale a Varese ...
Si. Alle 5.30 del mattino è stato fatto il Trattamento Sanitario Obbligatorio e mio fratello è stato portato all'Ospedale di Varese nel Reparto di psichiatria, dove tre medici gli hanno somministrato sedativi e psicofarmaci. Ci tengo a precisare che mio fratello non prendeva medicinali, non faceva uso di droghe - come dicevano - e non aveva nessun precedente penale.
Quindi il decesso di Giuseppe viene ricondotto alla somministrazione di quelle medicine?
Esatto. Dopo la prima autopsia, quella in cui non si parla del jeans sporco di sangue e neanche delle contusioni sul suo corpo, secondo il pm Abate la causa di morte è per "Intossicazione da farmaci" che avevano fatto reazione con il tasso alcolico. I tre medici dell'Ospedale sono diventati, quindi, i colpevoli ma sono stati assolti in I e II grado dall'accusa di "Omicidio Colposo". Eppure i carabinieri nella loro relazione hanno scritto che Giuseppe aveva delle escoriazioni sulle gambe ma come hanno fatto a vederle se non l'hanno mai spogliato?
Lei quando è andata in obitorio come ha trovato il corpo di Giuseppe?
La prima cosa che ho visto è stato il naso viola. Poi aveva l'occhio sinistro con una botta di colore blu e la mano destra con una bozza viola. Tutte le gambe tagliuzzate, il ginocchio gonfio. Aveva delle bruciature sullo zigomo destro e sulla spalla destra, come se gli avessero spento le sigarette addosso. Aveva lividi sulla schiena e sul fianco. Poi aveva un pannolone tutto sporco di sangue. Gliel'ho tolto per guardarlo bene. Gli ho aperto le natiche: aveva l'ano fuori e i testicoli irriconoscibili e violacei. Da lì ho capito che mio fratello era stato picchiato e seviziato.
Così ha cominciato la sua battaglia?
Si, grazie all'aiuto del mio legale Fabio Anselmo e del medico legale Vittorio Fineschi oggi siamo a questo punto e siamo riusciti ad avere una seconda autopsia.
Cos'è emerso da questa seconda autopsia?
Abbiamo saputo che Giuseppe aveva un piccolo problema cardiaco congenito con il quale avrebbe potuto vivere benissimo ma è stato sottoposto a forte stress. Il forte stress di cui parla l'autopsia si riferisce alle tre ore in cui è stato pestato in caserma. Stavolta sono risultati ematomi, bolle di area nell'intestino e le lesioni all'ano sono dipese da un corpo contundente che lo ha sodomizzato. Per me questa è una verità che parla chiaro: mio fratello è morto per le violenze e non per "intolleranza ai farmaci".