Per quel che riguarda la vicenda di Stefano Cucchi, le chiacchiere stanno a zero, e non c'è alcuna necessità di attendere le motivazioni della sentenza che ha mandato assolti agenti e infermieri, limitandosi a condannare (per "colpa" e non per dolo), alcuni medici dell'ospedale Sandro Pertini. La questione, al di là dei funambolismi giuridici, ridotta all'osso, è questa: un cittadino entra vivo in una istituzione dello Stato; ne esce morto. Il resto è il "di più" diabolico che non ci interessa sapere, che non vogliamo sapere. Non siamo disposti a transigere su una questione "elementare": se lo Stato, attraverso una sua articolazione, priva un cittadino della sua libertà, automaticamente diventa garante e responsabile della sua incolumità, della sua integrità fisica e psichica. Senza se e senza ma..
Stefano Cucchi, privato della sua libertà - ripetiamo: poco importa il motivo per cui lo si è fatto - è entrato vivo; è uscito morto. È da qui che occorre partire, questi sono i termini della questione, questo è lo scandalo. E nello scandalo la sconcertante vicenda processuale, che si è trascinata per ben quattro anni, e siamo solo al primo grado. Quella di Stefano è la storia di un ragazzo morto mentre si trovava nelle mani dello Stato. Un ragazzo arrivato a pesare 37 chili, con il volto tumefatto, l'occhio destro rientrato nell'orbita, gonfio, con i segni evidenti del pestaggio patito. Prima di arrivare al Pertini, Cucchi ha avuto a che fare con carabinieri, agenti di custodia, magistrati.
Nessuno si è reso conto delle condizioni di Cucchi, in quel lungo periodo di detenzione che precede il ricovero in ospedale? Sostenerlo è un'offesa alla nostra intelligenza, come un oltraggio è non aver individuato (non aver voluto individuare?) i responsabili di tale scempio. Responsabili che sono più d'uno: gli autori materiali del pestaggio, e chi l'ha coperto, chi ha visto e girato lo sguardo altrove, chi ha sentito e non ascoltato, chi ha taciuto, chi non ha fatto, potendo e anzi, dovendo, fare. Cucchi per tutti quei giorni ha disperatamente chiesto di poter parlare con il suo avvocato. Un diritto, tuttavia gli è stato negato. Questa grave violazione non la si può imputare ai medici. Stefano Cucchi ha subito un brutale pestaggio; questo pestaggio non può essere imputato ai medici.
Non mancherà ora qualcuno che ci esorterà a non abbandonarci in frettolosi e superficiali giudizi, ci ricorderà che occorre conoscere le motivazioni che hanno portato i giudici della terza sezione della Corte d'Assise di Roma. In linea di principio e in generale, si tratta di "regole" sensate, che è bene osservare. In questo caso, però è tutto chiaro e "semplice": Cucchi entra vivo, esce morto.
Si può discutere, dibattere, chiarire, smentire, l'accaduto lo si può declinare in tanti modi. Ma il punto di partenza, incontrovertibile, indiscutibile, è sempre uno, lo stesso: Cucchi entra vivo, esce morto. Non è accettabile, non è giustificabile; non va accettato o giustificato. Cucchi siamo noi.