E così alla fine aveva ragione Giovanardi: Stefano Cucchi ha fatto tutto da solo. Non sono state le botte ricevute dagli agenti penitenziari a costringerlo in quel letto d'ospedale in cui è morto, sei giorni dopo il suo arresto per droga.
Non sono stati i vari "sono caduto dalle scale", o i commenti di altri detenuti, "hai fatto un frontale con un treno" a provocare quell'incredibile percorso che ha portato poi alla sua morte. Stefano Cucchi in quel letto d'ospedale ci è finito da solo. E poco importa se quello era il reparto detentivo del Sandro Pertini, inaccessibile ai genitori che invano hanno bussato ogni giorno a quelle porte. Poco importa se quel ragazzo di 31 anni col sogno della boxe aveva la faccia martoriata dai lividi, aveva lesioni vertebrali, tracce di sangue sui jeans. Stefano Cucchi è morto di malasanità.
A ucciderlo, secondo la terza Corte d'assise di Roma che ieri ha pronunciato il suo verdetto di primo grado, in un'aula bunker blindata per paura di chissà cosa e dopo sette ore e mezza di camera di consiglio, sono stati i medici negligenti che non gli hanno somministrato le terapie giuste e necessarie, che non si sono accorti del suo deperimento, che non hanno arrestato con semplici mosse quel processo che ne ha determinato la morte. Nicola Menichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici, gli agenti penitenziari imputati di lesioni, coloro che lo avrebbero pestato nelle celle di sicurezza del Tribunale, sono stati assolti. Insufficienza di prove, avrebbe recitato la vecchia formula. Evidentemente non sono bastate le decine di perizie prodotte da accusa e parte civile, spesso così in conflitto tra loro, a rendere evidenti le responsabilità anche ai giudici.
E sono stati dichiarati innocenti i tre infermieri a processo, Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe. Pene lievi, molto di più di quanto chiesto dall'accusa, per i sei medici coinvolti: due anni di reclusione al primario Aldo Fierro, un anno e quattro mesi per Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi Preide De Marchis, Silvia Di Carlo, otto mesi per la responsabile del reparto, Rosaria Caponetti, condannata per falso. Per tutti gli altri il reato è stato derubricato da abbandono di incapace a omicidio colposo. Dovranno pagare alla famiglia Cucchi una provvisionale di 320 mila euro in attesa del giudizio civile, ma per tutti la pena è sospesa. Per i giudici tanto vale la morte di un ragazzo, arrestato con indosso pochi grammi di hashish la notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009.
Bisognerà attendere 90 giorni per le motivazioni della sentenza, ma intanto il primo punto fermo in tre anni e mezzo è stato messo. In aula c'erano tutti. Giovanni, Rita e Ilaria, genitori e sorella di Stefano, accompagnati dai loro avvocati, gli instancabili Fabio Anselmo e Alessandra Pisa. C'era il senatore Luigi Manconi, che con l'associazione "A buon diritto" ha seguito il caso dal primo giorno. C'erano gli agenti e gli infermieri imputati e molti loro parenti. C'erano decine di giornalisti, costretti ad accreditarsi per la prima volta dall'inizio del processo.
C'erano carabinieri e poliziotti, in divisa e in borghese, quasi come se in aula ci fosse un processo a pericolosissimi criminali. C'era il pubblico nel loggione e c'erano anche Lucia Uva e Domenica Ferulli, sorella e figlia di altri due morti ammazzati nelle mani dello Stato. Ed è stato proprio da lassù in alto che è partito quel grido, "assassini, vergogna", mentre di sotto i parenti degli imputati assolti si abbracciavano e festeggiavano. Pochi banchi più avanti le lacrime di Ilaria, il volto rosso dalla rabbia e dalla commozione, la consapevolezza che la verità, la sua verità, non è ancora emersa. L'abbraccio, interminabile, con l'avvocato Anselmo e poi con Manconi, e subito le parole, calme e misurate come sempre, a favore di telecamera.
Stavolta anche la piccola mamma Rita ha il coraggio di parlare: "Me l'hanno ucciso una seconda volta". Lo sapevano, Rita e Giovanni, che sarebbe stata durissima. "Abbiamo dormito poco - avevano detto prima di entrare in aula, ma abbiamo la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile". Già la mattina, alle 9,30, poco prima che i giudici entrassero in camera di consiglio, il piazzale antistante l'aula bunker era stato teatro di tensioni.
Un gruppo di ragazzi aveva provato ad attaccare adesivi e a srotolare uno striscione con la scritta "Ilaria non sei sola. Giustizia per Stefano", subito rimosso dagli agenti. E a lungo giornalisti e pubblico erano rimasti fermi ai cancelli, in attesa di accrediti che non arrivavano e di autorizzazioni alla spicciolata. "La Corte non deve vedere quanta gente c'è", aveva commentato qualcuno alzando la voce con la polizia, giunta in massa a blindare se stessa.
Minuti di tensione che si sono ripetuti al termine dell'udienza, quando gli imputati sono usciti dall'aula scortati dalle forze dell'ordine. Per loro ieri è finito un incubo, per la famiglia Cucchi l'incubo non finirà mai. "Suo fratello si è spento", avevano detto a Ilaria il giorno della morte di Stefano. Ieri la Corte lo ha confermato.