Gianluca Di Mauro, 25 anni, fu trovato impiccato con una cintura non sua. Sospetti anche su un antidepressivo che potrebbe avere avuto effetti deleteri. Un suicidio in carcere di dubbia natura quello del detenuto catanese Gianluca Di Mauro, trovato impiccato a 25 anni nella sua cella di Bicocca il 15 dicembre 2008 con una cintura da pantaloni, non sua, stretta al collo... mancavano pochi giorni alla sua probabile scarcerazione. E oggi su questo caso di torna ad indagare. Ritenendo la morte del giovane come conseguenza di un gesto autolesionistico, il Pm aveva chiesto l'archiviazione.
Il giovane, tossicodipendente, già con qualche precedente per rapina (quei colpi "mordi e fuggi" fatti col taglierino) e condannato a 12 anni di carcere in 1° grado, accusava crisi epilettiche e avrebbe necessitato, anche e soprattutto all'interno delle mura del penitenziario, di essere seguito da alcuni specialisti ed inoltre era ristretto in regime di "grande sorveglianza", status che avrebbe dovuto rendergli molto difficile, se non impossibile, il gesto di togliersi la vita.
Oltre tutto Gianluca, figlio di brave persone (il padre ha un'officina meccanica), aveva particolarmente bisogno di aiuto; oltre ad assumere droghe, un anno prima di morire aveva subito una violenza sessuale da parte di un compagno di cella, violenza denunciata, ma per la quale Gianluca non poter avere giustizia, dato che quando si arrivò a processo il ragazzo era già morto.
I genitori e la sorella di Gianluca, col trascorrere degli anni, non hanno nessuna voglia di lasciar perdere, quindi vogliono sapere se nella morte del loro caro ci sia stata qualche forma di responsabilità del personale o della direzione carceraria o di altri. Il caso classificato come "suicidio" - uno dei tanti che avvengono nelle carceri italiane - agli occhi del Garante dei diritti dei detenuti Salvo Fleres - cui si erano rivolti i parenti - apparve subito come morte sospetta, perciò egli continuò a seguirne l'iter giudiziario fino a quando, nell'ottobre 2012, fu chiesto al Gip di archiviare il fascicolo.
Allora fu fatta opposizione a quella richiesta (tramite gli avvocati Eleonora Baratta, in rappresentanza della parte lese e Vito Pirrone, in nome del Garante) ed in questi giorni il gip Paola Cosentino ha restituito gli atti alla Procura disponendo ulteriori indagini entro i prossimi sei mesi. Il Gip, in sostanza, in accoglimento dell'istanza, vuol approfondire una serie di circostanze.
Il principio che caratterizza questa ordinanza del Giudice è sacrosanto, un principio che purtroppo, tante volte e anche per inerzia, nel nostro Paese è stato disatteso e violato, come se le morti in carcere fossero di secondaria importanza. Il principio ribadito dal Gip è quello secondo cui "l'Amministrazione penitenziaria ha il dovere di assicurare la tutela del diritto alla salute, alla vita e all'integrità fisica del detenuti", e sempre all'area penitenziaria "spetta la diagnosi delle patologie che affliggono la persona ristretta, nonché l'individuazione degli approcci diagnostici-terapeutici diretti a salvaguardarne l'integrità psicofisica e le modalità di custodia e di sorveglianza".
Per queste ragioni, insieme ad altri accertamenti, si dovranno ascoltare gli specialisti che a Bicocca hanno avuto in cura il giovane e si dovrà approfondire se, in particolare, uno degli psicofarmaci somministrati costituisse la terapia più idonea e se per caso il farmaco stesso - magari in interazione con altri medicinali - non abbia avuto effetti condizionanti rispetto al suicidio. Nei campioni istologici del cadavere è stata rilevata un'elevata presenza di principio attivo del farmaco (venlafaxina) e ci si chiede se "in relazione ai sintomi progressivamente mostrati dal ragazzo (insonnia, ansia, ecc.), i sanitari avessero dovuto sospenderne la somministrazione o in alternativa disporre misure di più assiduo controllo delle condizioni psicopatologiche del detenuto".