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Cucchi; avvocato famiglia "Stefano fu torturato". Difesa agenti: "Colpa Carabinieri"
Fonte: Il Manifesto, 18 aprile 2013
18 aprile 2013

Il legale della famiglia smonta la perizia della Corte che attribuisce la morte a denutrizione: "Scientificamente sbagliata". Se Stefano Cucchi non fosse stato vittima di "un pestaggio feroce nelle celle del tribunale, non sarebbe morto". Invece "fu torturato e morì per il dolore", i suoi ultimi giorni di vita furono "un vero e proprio calvario".

Ultime battute al processo per la morte del giovane geometra romano. Ieri ha preso la parola l'avvocato Fabio Anselmo e il legale della famiglia Cucchi ha duramente attaccato la tesi dei pubblici ministero Vincenzo Barba e Francesca Loy, convinti che la responsabilità della morte di Stefano - avvenuta nel reparto di medicina protetta dell'ospedale Sandro Pertini una settimana dopo essere stato arrestato per droga - sarebbe da attribuire al personale sanitario più che agli agenti penitenziari (per tutti gli imputati è stata chiesta una condanna a pene che variano dai 6 anni e 8 mesi ai 2 anni).

Secondo l'accusa, infatti, Stefano fu sì pestato nelle celle di sicurezza del tribunale, dove si trovava per l'udienza di convalida del suo arresto, ma dopo il ricovero sarebbe stato "abbandonato" da medici e infermieri, al punto che la sua morte è stata attribuita da una perizia disposta dalla Corte a inanizione, vale a dire a un decadimento organico dovuto a scarsa alimentazione. Conclusioni che assolverebbero in gran parte gli autori del pestaggio nella cella di sicurezza. "La sindrome di inanizione è uno specchio che nasconde la causa della morte di Stefano Cucchi, non la spiega", ha detto ieri Anselmo. "I periti hanno detto che l'inanizione è la causa della morte - ha proseguito - e poi dicono che è irrilevante stabilire se questa ha determinato una morte cardiaca o cerebrale. Questa è l'arroganza dei periti. Ci sono accuse gravi a carico dei medici e loro non spiegano come è morto alla fine. Questo è un modo per liquidare il processo".

Non si tratta, però, dell'unica incongruenza. Il legale ha infatti ricordato come siano stati gli stessi periti a sottolineare come la morte per inanizione avvenga i 21 giorni, mentre invece nel caso del giovane geometra sia avvenuta "in cinque giorni e mezzo". "Una perizia così importante - ha proseguito Anselmo - meritava una cura e una precisione diversi.

C'è un insufficiente studio delle carte, è piena di affermazioni che sono tanto perentorie quanto scientificamente sbagliate".

Infine ci sono i traumi sul corpo di Stefano, che per gli esperti nominati dalla Corte sarebbero stati provocati dopo il decesso e nel corso dell'esame autoptico. "Per i periti - ha spiegato il legale della famiglia - non hanno avuto influenza e questo non è possibile". Questo non vuol dire che Stefano fosse innocente. Per il reato commesso "Stefano andava messo in galera, ma non ucciso", ha concluso il legale.

Difesa agenti: dolorante prima di arrivo in tribunale (Ansa)

Stefano Cucchi "aveva dolore, il viso gonfio, ecchimosi, non ce la faceva a camminare. Ma questi segni abbiamo prova li avesse prima del suo arrivo in tribunale". È una delle conclusioni cui è giunto l'avvocato Diego Perugini, legale di uno degli agenti penitenziari imputati per i fatti che nell'ottobre 2009 portarono alla morte, in ospedale, del geometra romano, una settimana dopo il suo fermo per droga.

"In questo processo - ha aggiunto Perugini - non c'è alcun elemento di certezza medico-legale. I periti nominati dalla Corte non ci hanno saputo dire a quando risalgono le lesioni che Cucchi aveva, né come siano state provocate. Non so cos'è accaduto a Stefano e le consulenze medico-legali non lo hanno chiarito. So solo che Cucchi non è stato pestato nelle celle del tribunale".

Poi, il riferimento al supertestimone gambiano Samura Yaya. "Se si vuole fondare l'accusa su un solo elemento di prova, si pretende sia granitico. E non è così. Samura viaggia su tre piani: del sentito, del visto e del pensato. Lui sente calci, pugni, trascinamenti, pianti, si alza, ma dice di non aver visto nulla. Dice solo di aver sentito. Samura non è un testimone oculare; è testimone che pensa di aver sentito rumori. E solo su un pensiero non è possibile condannare".

Il passaggio focale è che "Stefano a molti dice di essere stato menato dai carabinieri, da quelli che l'avevano arrestato; in quelle celle c'erano tante persone, ben undici operanti, ma nessuno ha sentito calci, pugni o pianti. Nel cuore della notte del suo arresto, Stefano viene trasferito di caserma. Sta bene, ma poi chiamano l'ambulanza. Gli trovano i segni medici relativi all'insorgere di quella sintomatologia che poi sarà trovata sul tavolo autoptico. Su queste basi non è possibile condannare un agente di polizia penitenziaria".