Sbagliata tutta l'impostazione dell'accusa. Per i legali della famiglia Cucchi, agli agenti della penitenziaria andava contestato l'omicidio preterintenzionale e non le lesioni. Perché Stefano non era "un morto che camminava".
Stefano, ha detto l'avvocato di parte civile nella sua requisitoria, era un "ragazzo magro che assumeva stupefacenti ma non un tossicodipendente all'ultimo stadio". Si è scagliato contro i pm l'avvocato della famiglia, Alessandro Gamberini, definendo "squilibrata" l'imputazione che appesantisce la posizione dei medici e alleggerisce quella degli agenti penitenziari. E invece Cucchi, secondo il legale ieri ha esposto le sue conclusioni davanti alla terza corte d'Assise di Roma, fu prima "pestato nelle aule di tribunale" poi assistito da personale medico "negligente e incapace".
Una ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta dalla procura che ha "provocato un dissesto tra parte civile e pm" che due giorni fa hanno chiesto condanne dai due ai sei anni per tutti gli imputati. Ma per la famiglia di Stefano Cucchi, come ripetuto più volte, tutto l'impianto accusatorio ha qualcosa che non va. I genitori del ragazzo morto nel 2009, Giovanni e Rita Calore, hanno comunque chiesto una provvisionale da 600mila euro ai 12 imputati. Centomila, invece, li ha chiesti il Campidoglio, auspicando la condanna, per i danni subiti: "Stefano Cucchi - ha detto l'avvocato Enrico Maggiore - avrebbe avuto diritto a chiedere e beneficiare dei servizi della comunità".