«Il senatore Ignazio Marino ha rinunciato a essere nostro consulente dopo avere ricevuto "consigli" da parte della Procura di Roma per evitare un conflitto istituzionale», hanno detto Fabio Anselmo e Alessandro Gamberini nell'aula bunker di Rebibbia che ospita il processo per l'omicidio di Stefano Cucchi.
La famiglia del trentunenne (ucciso nell'ottobre 2009 dal mix micidiale dell'impatto con varie forze dell'ordine, con l'amministrazione carceraria, una giustizia distratta e la sanità carceraria) avrebbe voluto Marino come consulente processuale per parlare di alcuni passaggi dell'attività della Commissione parlamentare sulla sanità che lo stesso Marino ha presieduto nella passata legislatura. Da parte sua, la Corte ha reso nota in aula una lettera inviata dal medico e parlamentare del Pd per informare i giudici di non essere stato nominato consulente delle parti civili né di aver intenzione di accettare l'incarico.
Francesca Loy, che gestisce la pubblica accusa col collega pm Barba, ha negato decisamente l'episodio, sfidando i legali di parte civile a provare quanto detto che «poteva assumere carattere di calunnia». La Corte d'Appello ha disposto la trasmissione di copia del verbale d'udienza al Procuratore della Repubblica per quanto di sua competenza. Nell'ordinanza di trasmissione degli atti alla Procura si sottolinea che «le dichiarazioni relative a ipotizzate pressioni dell'ufficio del pm sul prof. Marino tese a evitarne l'audizione nel presente dibattimento potrebbero essere oggetto di valutazione». E' ormai scontro aperto tra la pubblica accusa nel processo ad alcuni tre agenti penitenziari, tre infermieri e sei medici della sanità carceraria.
Ma l'udienza del 13 marzo ha visto anche un altro capitolo dello scontro tra periti di parte civile e della difesa. Per Gaetano Thiene, ordinario a Padova e protagonista anche nel processo Aldrovandi, l'inanizione ossia la morte lenta per malnutrizione non serve a spiegare quella che ritiene «una morte improvvisa, inaspettata, avvenuta nel sonno».
Secondo l'accusa Cucchi sarebbe stato pestato nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell'udienza di convalida del suo arresto per droga, e in ospedale abbandonato dal personale sanitario. Per Thiene, «questo è un caso cardiologico». Già il 17 ottobre 2009, all'indomani della cattura per una piccola quantità di hashisg il tracciato elettrocardiografico «era allarmante e mi sorprende che Stefano non sia stato portato in una unità di terapia intensiva per il monitoraggio». C'è insomma una «cascata» di eventi che portarono alla morte: dal trauma subito, all'emorragia sacrale, e fino alla ritenzione enorme di urina. Una tesi che, prima di lui, i periti della Corte hanno provato a scongiurare per ridurre a banale malnutrizione un caso di malapolizia e malasanità. «Come può un paziente morire in cinque giorni perché non ha mangiato? Saremmo tutti a rischio», ha aggiunto il professor Serviddio, altro consulente di parte civile.
Infine Vittorio Fineschi: «Nella catena causale che abbiamo ricostruito è pacifico che l'origine di tutto sia stato il trauma subito da Cucchi. Doveva essere monitorato continuamente, necessitava di un aiuto psicologico. Una frattura al sacro come quella diagnosticata necessitava un ricovero e una monitorizzazione più attenta».
Neppure le difese degli imputati sono persuase dall'idea dell'inanizione: «La morte causata da edema polmonare descritta dal consulenti del pm non è possibile perché l'edema era di lieve entità, non sufficiente a determinare il decesso di un giovane di 31 anni; e la morte per inanizione descritta dai consulenti della parte civile, scaturisce da letteratura molto datata e reca dati non correlabili con quelli citati nella perizia. Cucchi non poteva andare in terapia intensiva; non aveva complicazioni negli organi vitali e nessuno avrebbe accettato in terapia intensiva un paziente che stava discretamente bene e di cui non si immaginava il decesso».«E' totalmente impossibile che Cucchi abbia perso il 20% del peso in 4/5 giorni. Impossibile qualunque sindrome da inanizione. Un'ipotesi alternativa per spiegare il decesso, infinitamente più credibile, è quella dell'evento aritmico». «La morte è stata «cardiaca, improvvisa, inattesa, inaspettabile» e «l'atteggiamento dei medici del "Pertini" è stato consono alla situazione. Non c'erano motivi di allarme tali che avrebbero potuto portarli ad agire in maniera diversa da come hanno fatto». Il prossimo 20 marzo, conclusione dell'attivita' istruttoria dibattimentale con l'audizione degli ultimi due consulenti; a inizio aprile, la requisitoria dei pm.