Rete Invibili - Logo
Processo Cucchi, i pm contro la parte civile
Checchino Antonini
17 gennaio 2013

Le versioni che si contrappongono, oppure si completano sono due. La prima è che Stefano Cucchi non fu curato in modo adeguato e per questo morì, anzi i medici dell'ospedale romano Sandro Pertini, avrebbero potuto prevedere la sua morte e avvisarlo che se continuava a digiunare era a rischio vita. L'ha sostenuta nell'aula bunker di Rebibbia, il professor Luigi Barana, uno dei periti incaricati dalla III Corte d'assise di Roma di stabilire le cause della morte di Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre 2009 per droga, e morto una settimana dopo nel reparto giudiziario del Pertini.
L'altra è che Stefano morì per le conseguenze delle botte prese durante la fase della detenzione. E' la tesi della famiglia del trentunenne ucciso mentre era in custodia delle istituzioni. Ma è una tesi che i pm non vorrebbero sentire e in aula si consuma un rituale incomprensibile quando Giovanna Loy, una dei pubblici ministeri, nega ai periti di parte civile la facoltà di interrogare i colleghi delle difese. Tanto che Giovanni Cucchi, padre del geometra romano ucciso, prende carta e penna e scrive una lettera dolentissima: «Abbiamo impegnato ogni risorsa per portare qui oggi i nostri consulenti. Si era creata la possibilità, su richiesta del nostro difensore, di poter far fare le domande a loro stessi, senza dover passare per il tramite degli avvocati. Ne avrebbe guadagnato il processo e, soprattutto, la verità. I difensori degli imputati erano d'accordo, evidentemente anche loro volevano dare un contributo di verità o comunque non ne erano preoccupati. Invece no! I pm si sono opposti senza alcun rispetto! Di che cosa avevano paura? Continuiamo ad avere nel processo più rispetto dagli imputati che dai pm ai quali sembra prema di difendere i loro consulenti più di ogni altra cosa».
Ma i periti del tribunale (come il professor Albarello perito per la procura e «portatore di interessi» per la compagnia che assicura il Pertini), non avrebbero fatto una splendida figura quando hanno ammesso di non aver mai interpellato un radiologo per leggere le radiografie da vivo di Cucchi. E nemmeno sanno della testimonianza di un collega di sventura di Stefano, un ragazzo africano, Samura Yaya, colui che raccontato di aver raccolto da Cucchi la confidenza del pestaggio. Il ragazzo si sarebbe sollevato l'orlo dei jeans per mostrare la ferita. E una perizia su quei pantaloni ha scoperto la strisciata di sangue. Ma i periti dei pm dicono di non aver mai visto quelle carte e quei calzoni. Inoltre parlano ancora della celiachia di Stefano che in realtà non ne soffriva.
Così la discussione tra i periti è stata depistata verso la negligenza medica o l'abbandono di paziente. I periti assolvono gli infermieri («nessuno dei sanitari diede indicazioni sul da farsi»)
e il capo del pool di esperti, Marco Grandi, punta l'indice sui medici che «non hanno saputo individuare il quadro patologico. Hanno avuto una condotta colposa a titolo di imperizia o negligenza, quando non di mancata osservanza delle disposizioni codificate». Come dire: distrattoni. Anche la cartella clinica risentirebbe di quelle «condotte colpose». Carte false o imprecise quelle dell'udienza preliminare (Cucchi risultava un albanese senza dimora più vecchio di sei anni) e carte sbagliate anche nell'ultima "residenza" del trentunenne. Non c'è scritto quanto pesava, se avesse la febbre, né la frequenza cardiaca o una corretta registrazione della diuresi. La famiglia, già scossa da tre anni di controinchiesta, è sconvolta dal rapporto teso con la pubblica accusa.