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"nei secoli fedele"... ma a chi?
Ilaria Cucchi
Fonte: Notizie Radicali, 5 ottobre 2012
5 ottobre 2012

"Nei secoli fedele". Nei secoli fedele... a chi? Questo è il vero problema da risolvere per dare le sacrosante risposte che da 4 anni Lucia Uva sollecita alla procura di Varese sulla morte di suo fratello Giuseppe, avvenuta dopo una terribile notte trascorsa all'interno della caserma dei carabinieri di Varese il 14 giugno 2008. Il noto giuramento dell'arma dei Carabinieri è il provocatorio titolo del film presentato da Adriano Chiarelli sulla inquietante vicenda, lo scorso giovedì sera a Roma.
Giuseppe Uva è uscito da quella caserma in condizioni terribili, dopo esserci stato portato a forza senza ragione, senza un verbale di arresto, senza un verbale di fermo, senza un verbale che desse atto di alcuna legale esigenza della privazione della sua libertà personale. Un testimone (che in quattro anni non è stato mai ascoltato dalla Procura) riferirà di un feroce pestaggio, di urla disumane. Chiamerà invano il 118 che però verrà respinto dagli stessi carabinieri mentre Giuseppe continua ad urlare di dolore.
Quei Carabinieri che, ore più tardi, faranno intervenire la guardia medica e verrà disposto un Tso che non convince nessuno. Si è tenuto a Varese, per ora, soltanto un processo contro un medico che gli ha somministrato alcuni farmaci sedativi dopo il suo ricovero all'ospedale Circolo di Varese, dove è morto. La procura di Varese lo ha portato a giudizio, negando ostinatamente la natura violenta della sua morte e sostenendo che la stessa fosse ascrivibile esclusivamente ad un'errata somministrazione di farmaci sedativi.
Le proteste della sorella Lucia, che ha visto il povero corpo del fratello in condizioni terribili, con numerosi segni di traumi cosparsi in ogni sua parte, testicoli tumefatti, abbondante fuoriuscita di sangue dall'ano, sono state fino ad oggi ignorate. I periti nominati dal Giudice hanno dato piena ragione a Lucia ed al suo avvocato Fabio Anselmo, riconoscendo che le cause del decesso di Giuseppe Uva andavano ricercate esclusivamente in ciò che egli ha dovuto subire in quelle ore trascorse nella caserma dei Cc di Varese. Il Giudice dottor Moscato, ha deciso, assolvendo il medico (unico imputato) che proprio lì si dovesse indagare, disponendo che il procuratore della repubblica di Varese aprisse una formale inchiesta.
Il Giudice ha espressamente riconosciuto ai familiari di Giuseppe Uva il diritto sacrosanto di sapere cosa è accaduto in quella caserma, la notte del 14 giugno 2008, al loro caro. Il film descrive il clima allucinante in cui Lucia ed il suo legale sono stati costretti a lavorare durante il processo e l'inspiegabile atteggiamento tenuto dal dott. Agostino Abate, pm titolare dell'inchiesta dichiarata dallo stesso "personalizzata".