Si annuncia una novità davvero importante nella vicenda relativa alla morte di Stefano Cucchi. Una novità tale da poter imprimere una svolta decisiva al processo sulla tragica fine del geometra romano deceduto mentre si trovava nel reparto detentivo dell'ospedale Pertini, il 22 ottobre del 2009.
Forse è accaduto che due fratture presenti sul corpo di Cucchi, una risalente al 2003 e una appena precedente la morte, siano state considerate e analizzate come fossero una sola lesione, risalente a nove anni fa.
In estrema sintesi, questi i fatti: trovato in possesso di alcuni grammi di hashish, cocaina e antiepilettici, alle 23.30 del 15 ottobre. Cucchi viene fermato. Inizia così una drammatica Via Crucis, scandita dal passaggio attraverso una sequenza di luoghi e apparati e istituti, tra decine di uomini dello Stato e delle strutture pubbliche, nessuno dei quali offrirà soccorso. Cucchi trascorre la prima notte in due diverse caserme dei Carabinieri e, la mattina dopo, viene portato in tribunale per la convalida dell'arresto; qui, nelle celle di sicurezza del palazzo di giustizia, subisce le violenze di alcuni agenti di polizia penitenziaria.
Poi, infermeria e pronto soccorso e carcere, fino a un vero e proprio abbandono terapeutico, il volto coperto dal lenzuolo, il corpo accartocciato, nel letto dell'ospedale Pertini. Qui trova la morte all'alba del 22 ottobre: come occultato e sottratto allo sguardo e alle cure dei familiari che, per sei lunghissimi giorni, non hanno avuto la possibilità di incontrarlo né di accoglierne l'ultimo respiro. Per questa vicenda, la procura di Roma ha rinviato a giudizio tre agenti di polizia penitenziaria e nove tra medici e infermieri, e il processo è attualmente in corso.
E tuttavia, già subito dopo l'esame autoptico, è emersa una valutazione profondamente diversa tra i consulenti di parte civile e quelli del pubblico ministero a proposito della datazione della frattura vertebrale L3 riscontrata sul corpo di Cucchi. Ora, le ultime verifiche effettuate dalla Procura di Roma permettono di dimostrare, senza ombra di dubbio, ciò che i consulenti della famiglia Cucchi hanno sempre sostenuto. Ovvero che la frattura sull'emisoma postero superiore - cioè sulla parte più alta della vertebra L3, sul lato esterno e più esposto della stessa - è recentissima.
In altre parole, che quella frattura riscontrata proprio sulla schiena, non è pregressa, né tanto meno di antica data, bensì appena precedente la morte. Ed è possibile ipotizzare che questa frattura, non sia l'esito di una caduta, come è stato sostenuto, bensì il risultato di un trauma diretto che ha riguardato la parte più esposta della vertebra. Ed è questa, appunto, la novità.
Attraverso l'esame della documentazione medica da poco depositata, e dei radiogrammi reperiti dalla famiglia, è possibile notare inequivocabilmente l'esistenza di due fratture: oltre a quella di cui si è appena detto, un'altra, distinta e autonoma, risalente appunto al 2003. In termini inevitabilmente tecnici, si tratta di una frattura sul "versante antero superiore di L3": sul lato opposto, cioè, rispetto alla frattura ultima (2009), e situata internamente rispetto alla colonna vertebrale. Quella prima frattura mostra segni di guarigione già dall'aprile del 2004; e si trova in tutt'altro distretto della vertebra rispetto alla frattura riportata da Cucchi presumibilmente il 16 ottobre 2009.
Al di là del linguaggio medico, emerge un quadro decisamente nitido. Sul corpo di Cucchi, all'atto della morte, erano rilevabili due fratture, una risalente al 2003, non compatibile con l'ipotesi di un trauma prodotto da un colpo inferto da terzi, e un'altra, recente, compatibile con un'azione violenta subita. Ora, c'è da chiedersi: quando i consulenti della procura parlavano dell'esistenza di una sola frattura pregressa "da caduta" e di un esame istologico che ne confermava la datazione non recente, si riferivano alla prima (quella del 2003)? C'è da crederlo, in quanto la collocazione della lesione, all'interno della colonna, è tipica della caduta e non di un possibile trauma diretto, causato da colpo inferto sulla schiena.
Se così fosse, l'equivoco, si fa per dire, sarebbe clamoroso. Ma è possibile che si sia verificato un simile travisamento e che due fratture, indubbiamente esistenti, siano state considerate come una sola? E analizzate come una sola? E che, di una sola, sia stata accertata datazione ed esatta collocazione e che, solo su questa, sia stato effettuato l'esame istologico? È urgente avere risposte precise, perché la posta in gioco non è solo - ed è comunque già enorme - la possibilità di raggiungere la verità su una vicenda sommamente iniqua come la morte di Stefano Cucchi. La posta in gioco è, anche in questo caso, il buon funzionamento di una giustizia giusta.