In un periodo denso di scadenze e di nuovi accadimenti di "malapolizia", arrivano anche le motivazioni dell'assoluzione, a Varese, per il medico Carlo Fraticelli dall'accusa dell'omicidio colposo di Giuseppe Uva. Oltre ai passaggi che scagionano con decisione il medico, la parte più rilevante della sentenza è contenuta nelle ultime due delle sessanta pagine del dispositivo che spiegano la decisione del tribunale di inviare gli atti al pubblico ministero perché indaghi, finalmente, su quello che accadeva prima dell'ingresso di Giuseppe Uva in ospedale. Perché, scrive il giudice: è «legittimo diritto dei congiunti di Uva Giuseppe, innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti propri della specie umana - conoscerne, dopo quasi quattro anni, se negli avvenimenti antecedentemente all'ingresso del loro congiunto in ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote le ragioni per le quali Uva Giuseppe - nei cui confronti non risulta essere stato redatto un verbale di fermo o d'arresto, mentre sarebbe stata operata una semplice denuncia per la contravvenzione di cui all'art. 659 (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, ndr) - è stato prelevato e portato in caserma».
«Nel corso del dibattimento - si legge ancora - è emerso come l'ipotesi accusatoria poggiasse su basi talmente fragili da rendere francamente impossibile un qualsivoglia fondato giudizio sul merito dell'accusa (e tanto più improponibile un giudizio di colpevolezza), mentre, d'altro canto, rimanevano sconosciuti gli accadimenti intervenuti all'interno della stazione dei cc di Varese, certamente concitati se è vero che su posto confluirono alcune volanti di polizia) e al cui esito Uva - che mai in precedenza aveva manifestato problemi di natura psichiatrica - verrà ritenuto necessitare di un intervento particolarmente invasivo quale il trattamento sanitario obbligatorio».
Però Uva è morto il 14 giugno 2008 dopo essere stato fermato - assieme all'amico fraterno Alberto Biggioggero - da una pattuglia dei carabinieri per ubriachezza molesta, reato per il quale non è previsto il fermo e per il quale anche il Tso, che giustificava il suo ricovero, continua ad apparire incomprensibile.
Tutto ciò perché l'inchiesta che non c'è ancora stata (da quattro anni si trova nella fase delle indagini preliminari e le parti non possono saperne nulla) «viene a incrociarsi e almeno parzialmente a sovrapporsi con questo processo», si legge nella sentenza che chiede alla procura di capirci qualcosa perché, in sostanza, restano «oscure le ragioni per le quali un soggetto di 43 anni, non affetto da alcuna significativa patologia nota, potesse essere giunto a morte a poche ore dal "trattenimento" operato nei suoi confronti dalle forze dell'ordine». La svolta dodici mesi fa quando il tribunale - di fronte ad alcune perizie, per conto del pm, che si limitavano ad affermare la mera compatibilità dell'ipotesi del coktail letale tra l'alcol che Uva aveva in corpo e i farmaci somministrati in ospedale - dispose una superperizia e la riesumazione fortemente auspicata dai familiari di Uva e dai loro legali, Fabio Anselmo e Alessandra Pisa che difendono anche le famiglie di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi e Domenico Ferrulli.
La sentenza, grazie alle nuove perizie eseguite da elementi estranei agli ambienti varesini, esclude con certezza anche che Uva fosse un "lento metabolizzatore", che quei farmaci abbiano avuto effetti ritardati mescolandosi all'alcool di quella notte. L'alcol è restato sempre «sotto livelli idonei a causare il decesso».
Il quadro morboso finale si configura quale «fibrillazione ventricolare, artimia ipercinetica ventricolare e attività elettrica totalmente desincronizzata con conseguente assenza di attività meccanica contrattile». Insomma, qualcosa ha causato l'arresto cardiaco di Giuseppe Uva. Escluse le medicine, i periti hanno puntato l'indice sui trigger, stimoli scatenanti dell'aritmia, della fibrillazione ventricolare. Nel paragrafo "Mezzi di produzione della morte" della perizia, si spiega che i trigger furono dati dalla combinazione tra intossicazione etilica, lesioni traumatiche e dalle misure di contenzione fisica. Siamo alle solite: i medici non c'entrano, il killer è la modalità di ingaggio da parte delle forze dell'ordine. Il probabile trigger che ha scatenato l'evento aritmico terminale «è consistito in una tempesta emotiva legata al contenimento, ai traumi auto o eteroprodotti, nonché all'agitazione da intossicazione alcolica acuta». E anche se il cuore di Pino s'è fermato in psichiatria, in uno stato di sedazione, la morte improvvisa - spiega la letteratura - avverrebbe spesso nella fase di recupero, di «risoluzione della tempesta». Il medico, dunque, ne esce bene: la scelta di somministrare farmaci fu corretta e la dose non poteva arrestargli il cuore. La sentenza si dilunga su questo aspetto incrociando dati di letteratura e perizie.
Al contrario la superperizia ha affermato che nella zona anale di Pino Uva c'erano varici emorroidarie esterne con stravasi emorragici interstiziali da mettere in correlazione, per il giudice, con l'ampia perdita di materia ematica riscontrata nel cavallo dei jeans zuppo di sangue. Ma il primo perito del pm quei jeans manco li ha voluti vedere, sono restati per più di tre anni in giacenza al posto di ps dell'ospedale di Varese.
Quello che emerge dalla superperizia, spiegata dal giudice, è una precisa grave patologia congenita: prolasso mitralico, la valvola mitralica si gonfia come una vela, e sono state evidenziate moltissime lesioni cutanee. Anche il canale rettale presentava grossi gavaccioli emorroidali prolassati. D'altronde sono quattro anni che, di fronte all'inspiegabile ostilità del pm, Lucia Uva chiede che ci si occupi dei segni di violenza che lei stessa ha scoperto sul corpo di suo fratello. Fu lei a riconoscerlo in obitorio. Alberto Bigioggero, che fu fermato con Uva, vorrebbe raccontare da quattro anni a un pm le urla spaventose che udì in caserma quella notte. Ma nessuno l'ha mai ascoltato. Ai suoi amici Uva aveva raccontato di avere avuto una relazione con la moglie di un carabiniere. La causa di morte potrebbe essere il politraumatismo di quella notte. Anche la psichiatra che lo vide al pronto soccorso ha dichiarato in una memoria scritta che «accusava (le forze dell'ordine) di averlo picchiato. Si riservava quindi di denunciarli. Aveva la fronte e il naso visibilmente tumefatti. Parlammo per un'ora, mi diede il numero della sorella, che chiamai. Si sentì rassicurato si fece convincere a fare un'iniezione di sedativo». Il caso è tutt'altro che chiuso.