Il Centro di Identificazione e Espulsione (Cie) di Bari è un carcere extra ordinem, non dichiarato, in cui numerosi cittadini provenienti da paesi extraeuropei sono detenuti senza aver mai commesso reati punibili con la reclusione. Più di un anno fa l'associazione di giuristi democratici "Class action procedimentale" ha avviato un'azione legale per chiedere il rispetto dei diritti umani all'interno del Cie.
"Il Tribunale civile di Bari ordini l'immediata chiusura del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) del capoluogo pugliese, per accertata violazione dei diritti dell'uomo". È quanto chiedeva l'atto di citazione del 28 marzo 2012. Di seguito l'intervista all'avvocato Luigi Paccione, portavoce dell'associazione giuristi democratici "Class Action Procedimentale", sugli ultimi sviluppi della prima azione legale contro la Presidenza del consiglio dei ministri e il Ministro dell'Interno, per violazione dei diritti umani.
Avvocato Paccione, come si definisce un Cie a livello giuridico?
Il Cie è un carcere "extra ordinem", totalmente illegittimo, dove le condizioni di detenzione non rispettano neppure i parametri normativi vigenti per gli Istituti penitenziari statali; ai detenuti, isolati in vari settori, è negato anche il diritto alla sociabilità e alla comunicazione. Le Linee guida dell'istituzione Cie non sono una fonte normativa e questa gestione illegale da parte del Governo ci inquieta; come giuristi democratici abbiamo "reagito" portando la questione in tribunale, usando uno strumento giuridico del nostro ordinamento chiamato "azione popolare", che consente ai singoli cittadini di sostituirsi al Comune di cui sono residenti, per esercitare i diritti non esercitati dall'ente locale.
Il Cie è quindi un'aberrazione giuridica: quali violazioni dei diritti vi si riscontrano?
Esiste nel nostro Paese un grave digiuno di regole democratiche e analfabetismo sugli strumenti di difesa dei diritti fondamentali e credo che la battaglia legale di Bari sarà il termometro dello stato di diritto e dell'odierno paesaggio politico e giuridico, dichiaratamente razzista. L'istituzione Cie, come tutte le misure estreme di aggressione alla dignità umana, finisce per azzerare persino la capacità reattiva del detenuto che non conosce e non può conoscere i suoi diritti anche perché gli si nega lo status di detenuto, definendolo "ospite".
Una grossolana forma di repressione che manipola lo stesso vocabolario della lingua italiana, alterando il significato delle parole. Formalmente esiste la tutela giuridica del migrante, ma in realtà, giudici di pace e vari avvocati d'ufficio non fanno che verificare e convalidare la legittimità o meno dell'ingresso nel Cie: nessuno sembra voler immaginare, nemmeno i detenuti, che il vero fatto giuridico è l'illegittimità dello stato di detenzione che si traduce, di fatto, in un sequestro di esseri umani.
"Stranieri", "migranti" e "neri"? In assenza di "reato", questi centri recludono migranti sulla base non di cosa hanno fatto, ma sulla base di ciò che sono?
L'impianto culturale che presiede l'istituzione dei Cie sembra voler negare l'identità di esseri umani, titolari dei diritti fondamentali, dei migranti senza permesso. La realtà carceraria per migranti esprime una cultura razzista, il profilarsi di un nuovo volto repressivo mal mascherato da abito democratico; tutto ciò deriva dalla spinta all'autoconservazione di un sistema occidentale capitalista che, per conservare privilegi, sprigiona meccanismi culturalmente fascisti.
Secondo lei, l'esercizio della democrazia diretta, come dimostra il caso di Bari, potrebbe essere la via per ripristinare lo Stato di diritto in Italia?
Essendo fondata su un'azione popolare, la Class Action Procedimentale barese, è replicabile ovunque sul territorio nazionale. È inoltre indicativo che vi abbiano aderito sia il Comune di Bari sia la Regione Puglia: contro l'illegalità governativa reagisce la legalità territoriale. L'odierna crisi di rappresentanze tradizionali non significa, infatti, il "disarmo" di democrazia ma può aprire nuove forme di protagonismi dei saperi, delle intelligenze, e della sovranità della cittadinanza sociale. Unica in grado di difendere i principi democratici, minacciati dall'esistenza di strutture carcerarie fuori dalla legalità come sono i Cie, vero e inquietante attentato alla convivenza civile e alle regole della democrazia. Un simile quadro impone alla società civile di reagire. Appunto quello che stiamo facendo qui a Bari.