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Reportage dal Cie di Bologna "qui è peggio del carcere..."
Fonte: Redattore Sociale, 10 maggio 2012
10 maggio 2012

Ex detenuti, lavoratori che hanno perso il permesso di soggiorno, vittime di tratta e richiedenti asilo. Viaggio con video tra i reclusi del Cie di via Mattei, dove la "pena" non finisce mai. Attualmente ci sono 54 persone, 20 donne e 34 uomini

S. viene dal Salvador. È entrata in Italia con un visto turistico un anno e mezzo fa. Un visto che è scaduto prima che lei riuscisse a trovare un lavoro. È finita sulla strada, dormendo nei parchi e chiedendo aiuto qua e là. Al Cie di via Mattei c'è da poco tempo. Ma anche una settimana dietro le sbarre senza sapere niente del proprio futuro è lunga.
S. però ha avuto il nullaosta per ritornare nel suo Paese. Forse tra 3 o 4 settimane potrà riabbracciare la sua famiglia e suo figlio. "Sono felice perché qui non ho trovato niente, sono venuta solo a disturbare - racconta - . Vivevo come una barbona e io non lo sono".
Le telecamere di Redattore Sociale sono entrate proprio nel Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei a Bologna, scenario di numerose rivolte. E anche in occasione di questa visita, i detenuti hanno tentato incendiare un materasso.
La storia di S. è quasi positiva, ma è una rarità. Esma è al centro da 3 mesi. Qualche giorno fa ha bevuto il detersivo ed è stata in ospedale 2 giorni. Poi si è arrampicata su un'inferriata e ha tentato di buttarsi di sotto. È di origine croata e in Italia, dove vendeva fiori, c'è dal 1991. Il marito è bosniaco, il Paese dove si sono sposati. Ma nè l'Ambasciata di Croazia né quella di Bosnia l'hanno riconosciuta. "Ho la fissa in testa di ammazzarmi - racconta. Non posso stare qui fino a un anno e mezzo, mi sento troppo male". Zineta viene da Torino. Ha 46 anni e vive in Italia da 30. È di origine jugoslava. L'hanno presa nel campo dove abitava con il marito e i figli, tutti nati in Italia. Non ha documenti, non li ha mai avuti. E con il suo Paese, l'attuale Bosnia, non ha più nessun legame. In via Mattei c'è da poco, qualche giorno, ma nei suoi occhi si legge la disperazione di chi non sa quando potrà rivedere la sua famiglia. "Sono malata - racconta - . Ho problemi di cuore e la pressione alta". Sono alcune delle persone incontrate dentro al Centro di identificazione ed espulsione di Bologna.
Difficoltà di identificazione. È il problema denunciato dalla maggior parte dei reclusi. Molti di loro arrivano dal carcere. Sono ex detenuti che hanno scontato la loro pena e sono finiti al Cie perché non sono stati identificati. È il caso di Karim. Fuori lavorava come muratore e imbianchino. In nero, ovviamente. "Com'è possibile che in 8 mesi non siano riusciti a identificarmi - dice - Forse non sanno fare il loro lavoro". In via Mattei c'è da 8 mesi. "Qui sono diventato un numero, il mio nome non me lo ricordo più - continua - Questo posto è un cimitero, siamo cadaveri che camminano". Consolati non collaborativi e non iscrizione nelle anagrafi dei Paesi di origine sono le principali cause della difficoltà di identificazione. Per quanto riguarda i Paesi del Maghreb, i tumulti del 2011 non hanno di certo facilitato la situazione. "L'allungamento dei tempi di trattenimento non ha favorito le espulsioni - spiega Alberto Meneghini, vicedirettore della Misericordia. Se non si riusciva a identificare una persona in 6 mesi, non ci si riesce nemmeno in 18 e questa reclusione prolungata non fa altro che gravare sulla situazione psichica dei trattenuti". Come racconta, Meneghini, "spesso anche chi vuole andare a casa non riesce o non può perché il Consolato non le riconosce o non rilascia il lasciapassare: ma tenerle al centro per un tempo così lungo, non risolve di certo la situazione".
Alì che dopo aver scontato una pena per spaccio in carcere, da 10 mesi si trova al Cie. "Il carcere è meglio, almeno so quando esco - racconta. Oggi mi hanno prorogato di altri 2 mesi, ma 18 mesi qui dentro sono troppi senza motivo". Alì è tunisino ma non ha più nessun legame con il suo Paese, tutti i suoi parenti sono morti. Dice di aver commesso un errore e di aver pagato e ora ha bisogno di un aiuto "per mettere a posto la sua vita". Promiscuità. È l'altro problema di questo posto. Persone che hanno perso il lavoro. Vittime di tratta. Richiedenti asilo. Ex detenuti. Donne con esperienze di violenza.
Tossicodipendenti. Una presenza, quella di persone che hanno i requisiti per ottenere una protezione internazionale, sociale o per motivi di salute che viene "ammessa" dalla stessa Prefettura visto che nei documenti di autorizzazione all'accesso si specifica di garantire la non identificabilità degli ospiti vittime di violenza o abusi, evitare di riprendere situazioni di disagio o malattia, contenere le immagini che rendano identificabili le singole persone (che possono anche essere richiedenti di protezione internazionale/asilo).
Per ognuno di loro la Misericordia ha a disposizione circa 70 euro al giorno. Dentro ci deve stare tutto: vitto, alloggio, assistenza sanitaria, psicologica e sociale. Ma ovviamente non bastano. "È ovvio che bisogna andare oltre al capitolato del bando - spiega Meneghini - se si vuole dare assistenza a queste persone". Il 31 luglio non scade solamente la gestione della Misericordia ma anche le convenzioni che questa ha stipulato con Asl e altri soggetti del territorio. Ciò significa che a rischio c'è anche l'assistenza sanitaria. Solo per fare un esempio oggi c'è un medico 24 ore al giorno e un infermiere per 12 ore al giorno. Il nuovo bando prevede la presenza del medico solo per 8 ore al giorno.
Oggi nel centro di via Mattei ci sono 54 persone, 20 donne e 34 uomini. Un numero inferiore a quello di qualche settimana fa perché, come racconta Meneghini, "la Questura ha chiesto una riduzione delle presenze per consentire i lavori di sistemazione delle stanze e delle aree danneggiate dalle rivolte". Nelle scorse settimane, infatti, si sono verificati numerosi episodi di rivolte e alcuni reclusi sono riusciti a fuggire dal centro.
Camminando lungo il perimetro esterno si vedono i segni delle bruciature, il plexiglas rotto, le ciabatte che hanno lanciato oltre alle recinzioni insieme alle pietre. Durante la visita alcuni detenuti hanno tentato di dare fuoco a dei materassi. "Il prolungamento del trattenimento fino a 18 mesi ha provocato una recrudescenza dell'aggressività nei confronti della struttura - continua Meneghini - Il sistema è paradossale: alle norme assolutamente repressive si contrappongono i tagli alle risorse, due cose che faticano a conciliarsi". Dal prossimo agosto, il nuovo gestore avrà a disposizione 28,50 euro per ogni recluso. Una cifra ridicola. E una gara di appalto che, come ci ha detto la direttrice Anna Maria Lombardo, "mortifica perché basta fare due conti per capire che è impossibile gestire il centro con quelle cifre".