Un detenuto straniero, di nazionalità marocchina, è morto questa mattina all'alba per infarto nella sua cella all'interno del carcere di Genova Marassi che condivideva con altri ristretti. Era in carcere per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti.
"La notizia della morte del detenuto intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l'esasperante sovraffollamento. Ad esempio proprio a Marassi, alla data del 31 marzo scorso, c'erano 820 detenuti stipati in celle realizzate per ospitarne 450 e oltre 130 Agenti di Polizia Penitenziaria in meno rispetto agli organici previsti."
È il commento di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri
"Questa ennesima morte di un detenuto testimonia ancora una volta la drammaticità della vita nelle carceri italiane" rilancia il Sappe, che rinnova il suo appello alla classe politica del Paese. "A poco o nulla è servita ad oggi la legge approvata sulla detenzione domiciliare, la legge 199 del novembre 2010 (improvvidamente definita 'svuota carcerì), che consente di scontare ai domiciliari pene detentive non superiori a un anno, oggi elevati a diciotto mesi dal recente provvedimento del Governo in materia penitenziaria. Ma rispetto all'indulto che fece uscire complessivamente e quasi subito circa 35mila persone detenute, ad oggi con la legge sulla detenzione domiciliare sono uscite poco più di 5mila persone dalle oltre 200 carceri italiane, solo 161 in tutta la Liguria. Rinnoviamo allora l'auspicio che la classe politica ed istituzionale del Paese faccia proprie le importanti e pesanti parole dette dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle nostre carceri "terribilmente sovraffollate" e ci si dia dunque da fare - concretamente e urgentemente - per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che 'ripensì organicamente il carcere e l'Istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso ed un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale con contestuale impiego in lavori di pubblica utilità per il recupero ambientale del territorio. Oltre all'espulsione degli stranieri condannati per fare scontare loro la pena nelle prigioni del Paese di provenienza".