La notte in cui Aldo Bianzino morì nella sua cella del carcere perugino di Capanne, "nessuno chiese intervento medico, tantomeno Bianzino". Lo ha detto lunedì mattina in aula l'unico imputato per omissione di soccorso, il sovrintendente della polizia penitenziaria Gianluca Cantoro.
Il campanello mai suonato
Cantoro, guidato dalle domande del pubblico ministero Giuseppe Petrazzini ha fornito alla corte una ricostruzione di quella strana notte del 14 ottobre 2007 in cui nessun detenuto suonò mai il campanello della sua sezione.
Cantoro ha spiegato che in ogni cella c'erano due interruttori, uno per la luce e uno per suonare il citofono che squillava nella guardiola. Un citofono che smetteva di suonare solo se la guardia prendeva la chiamata. Un citofono molte volte suonato "per sbaglio" dai detenuti che invece "volevano accendere la luce". Ma lui ha escluso categoricamente, il giudice Paolo Micheli glielo ha anche fatto ripetere, che quella notte qualcuno suonò.
Nessuna stranezza
Cantoro è accusato di non aver attivato i soccorsi necessari per salvare la vita di Aldo Bianzino, entrato in carcere due giorni prima e morto per una emorragia cerebrale. Ma lui dice di non aver ricevuto alcuna chiamata da Bianzino e di averlo visto sempre dormire sul suo letto. Cantoro ha anche riferito di come in una sezione del carcere, se c'è qualche detenuto che sta male e qualche altro detenuto se ne rende conto l'intera sezione si mobilita facendo rumore per far arrivare un sorvegliante. "Ma non prendete le chiamate di soccorso direttamente voi? Che bisogno hanno di far rumore?" chiede l'avvocato di parte civile Fabio Anselmo evidenziando una mezza contraddizione del resoconto di Cantoro.
I registri poco puntuali
Che comunque non si perde d'animo e per difendersi non esita a dire che anche quella sera ha annotato ispezioni prima che fossero state fatte e che le registrazioni in entrata e in uscita nel penitenziario non sono così rigide e puntuali come si crederebbe. Nel capo d'imputazione sta scritto anche che Cantoro non si vede passare in sezione dalle tre alle sette del mattino. "Io ho fatto i miei giri, i miei controlli, e le telecamere riprendono solo otto secondi ogni due minuti circa". Possibile che sia passato sempre in quei due minuti circa.
Bianzino dormiva nel letto
E nei suoi controlli, che per legge deve fare per verificare che i detenuti siano tutti al loro posto, non ha notato nulla di strano né in Bianzino, che lui ha sempre visto "dormire nel suo letto" né nella sua cella, che verrà ritrovata con la finestra spalancata, nonostante fosse autunno inoltrato. Lui si sarebbe avveduto della morte di Bianzino solo dopo aver staccato il turno intorno alle otto di mattina, quando dalla caserma vede l'ambulanza. Solo allora viene a sapere che Aldo Bianzino, 43anni e nessun problema di salute era stato ritrovato morto a terra. Nudo.
La richiesta della nuova perizia
Bianzino è morto per una emorragia cerebrale. Non è chiaro se per aneurisma o per quale altro fattore scatenante. O meglio diversi correnti di pensiero mediche si sono scontrate sull'argomento. Per questo al termine dell'udienza i legali di parte civile, Fabio Anselmo, Massimo Zaganelli e Cinzia Corbelli hanno richiesto alla corte una nuova perizia medico legale. Per chiarire quando esattamente Aldo si è sentito male e se qualcosa si poteva fare. Alla richiesta si sono opposti avvocatura dello Stato e pubblico ministero che ha definito la richiesta come "estranea a questo processo". I giudici, dopo un quarto d'ora di camera di consiglio hanno deliberato che decideranno solo alla fine dell'istruttoria, cioè il 27 febbraio prossimo.
L'accusa dei figli
Mentre i giudici erano in camera di consiglio, i figli di Aldo, Aruna, Elia e Rudra hanno diffuso questa nota: "Dopo che lo Stato ci ha restituiti nostro padre morto, quando viceversa stava benissimo prima del suo arresto, ci saremmo aspettati un atteggiamento diverso. È incredibile che l'imputato non si è opposto alla richiesta di perizia sulla causa della morte di nostro padre. Si sono invece opposti proprio i massimi rappresentanti dello Stato, PM e l'avvocato del Ministero di Grazia e Giustizia. Noi denunciamo che se l'imputato non teme la perizia, la temono costoro. Ci chiediamo, in tutto ciò, dove sia l'interesse pubblico e della collettività".