Altro che decesso naturale, altro che lesioni trascurabili, altro che destino. La fine di Stefano Cucchi è stata determinata dai colpi che ricevette al viso e alla schiena e dalla successiva negligenza dei medici che lo ebbero in cura.
I periti della famiglia, alla ventiquattresima udienza del processo, contestano senza peli sulla lingua le conclusioni dei consulenti della Procura. Cucchi non mori perché il caso a volte si accanisce ma "per una serie incontestabile di eventi".
"Finalmente - ha detto in una pausa del dibattimento Ilaria Cucchi. 38 anni, sorella della vittima - arriva una spiegazione scientifica e ascoltiamo la verità". Per ore ieri - Rebibbia, Aula A - quattro schermi hanno rilanciato senza sosta le foto di Cucchi al momento dell'arresto, Cucchi dopo la morte, Cucchi sul tavolo dell'autopsia, prima, durante e dopo. "Il giorno prima dell'arresto - ha ricordato la donna - mio fratello era in palestra sul tapis-roulant. Poi è successo quello che è successo".
Cucchi morì nell'ottobre del 2009 al reparto carcerario dell'ospedale "Pertini" sei giorni dopo un fermo per droga. Gli imputati principali del processo sono i medici che lo seguirono e tre agenti della Polizia Penitenziaria. I primi sono accusati di aver abbandonato il paziente senza cure adeguate, gli altri di averlo picchiato in una cella del Tribunale.
I consulenti del pubblico ministero, tutti docenti dell'Istituto di Medicina Legale della "Sapienza", nelle ultime udienze hanno ripetuto per ore un mantra: le lesioni sul corpo di Cucchi non erano assolutamente fatali e il detenuto morì per negligenza dei sanitari che trascurano le condizioni di un paziente debilitato da anni di tossicodipendenza.
Vittorio Fineschi, 52 anni, docente di Medicina Legale a Foggia, capo del team ingaggiato dai Cucchi, ieri ha detto chiaro e tondo di pensarla in modo sideralmente opposto. Fabio Anselmo, legale della famiglia, ha chiesto che "a questo punto l'imputazione contro gli agenti sia trasformata in omicidio" (ora è lesioni, ndr).
"Al di là delle ipotesi - ha detto Fineschi - ci sono i fatti. Medici diversi constatarono le ecchimosi sul volto e alla schiena. Una radiografia ha certificato una frattura a una vertebra lombare e l'autopsia ha confermato tutto questo. Sono elementi incontestabili da cui nasce una convinzione: le lesioni subite da Cucchi sono intimamente legate al decesso".
Il pestaggio ricostruito dall'accusa sarebbe dunque l'innesco della tragedia. "Con il passare delle ore - ha proseguito Fineschi - la lesione alla vertebra ha alterato il funzionamento della vescica. In ospedale non ci si rese conto della situazione. Il catetere messo al detenuto finì fuori sede, le urine si accumularono". L'autopsia ha accertato un ristagno: un litro e mezzo.
"Questa condizione - ha sostenuto lo specialista - ha provocato un problema di circolo sanguigno e la morte". Causa ultima: "Edema polmonare acuto in un soggetto poli-traumatizzato in decubito coatto con quadro di insufficienza cardiaca".
Dietro i termini un po' professorali si nasconde la totale divergenza di vedute tra parte civile e Procura. I periti non concordano su nulla. Quelli del pm ad esempio pensano che la frattura alla vertebra risalisse a molto tempo fa perché "c'era callo osseo" e perché "se ne parla in una vecchia cartella clinica". I consulenti dei Cucchi la ritengono così recente da aver causato i danni alla vescica e tutto il resto. Per i giudici non sarà un gioco districarsi in un tale labirinto.
Prossima udienza il 9 febbraio. Di certo quella di ieri ha fornito frecce all'arco dei Cucchi. "Non so perché i consulenti dell'accusa abbiano certe posizioni - ha detto la sorella di Stefano. Non voglio pensare né a disegni né ad altro. Ma i nostri periti stanno fornendo spiegazioni scientifiche che gli altri non ci hanno dato". Sguardo luminoso, volto sollevato.