Stefano Cucchi, il romano di 31 anni fermato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo all'ospedale Sandro Pertini di Roma, agli infermieri si mostrò poco collaborativo, esile, e si alimentava in modo discontinuo.
È emerso questo nell'udienza di oggi del processo che, per la vicenda che lo portò alla morte, vede accusati sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. A seconda delle posizioni e a vario titolo, rispondono di lesioni, abuso di autorità, favoreggiamento, abbandono d'incapace, abuso d'ufficio e falsità ideologica.
"Fu trattato come tutti gli altri pazienti - ha detto l'infermiera Maria Giulia Masciarelli. Aveva dolore alla schiena, si muoveva poco. Era magro, con poco tono muscolare; beveva pochissimo attraverso una cannuccia. Aveva gli occhi lividi, ma non gli chiesi il perché. Non voleva fare terapia endovenosa e rifiutò la visita oculistica".
La cosa che colpì l'infermiera fu che durante il giro letti una collega gli domandò con chi potevamo parlare per fargli avere biancheria pulita, ma Cucchi rispose che non gli interessava nulla; disse di no anche quando gli proponemmo l'utilizzo di biancheria del reparto.
Mi dissero che Cucchi non voleva avere contatti con i familiari, ha aggiunto il coordinatore infermieristico del Pertini, Dario Bocci. Lui vide il giovane romano tre volte, l'ultima, il giorno prima della morte. "Le sue condizioni furono sempre stabili. Mi colpì che il suo ricovero avvenne fuori dagli schemi, sia perché avvenuto il sabato pomeriggio, sia perché richiesto dal dirigente del Prap in persona. Cosa, questa, mai accaduta in passato". Stefano "andò a fare radiografie, sulla base delle quali l'ortopedico disse che poteva muoversi con cautela nel letto, ma senza camminare per venti giorni".