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Morte di Stefano Cucchi; agli atti del processo la lettera di un ex detenuto
Fonte: Ansa, 5 ottobre 2011
5 ottobre 2011

"Mi hanno ammazzato di botte i carabinieri, tutta la notte ho preso botte per un pezzo di fumo". È la confidenza che Alaya Tarek ha detto di aver sentito con le sue orecchie direttamente da Stefano Cucchi, il geometra 31enne arrestato per detenzione di droga e morto nel reparto clinico del carcere Regina Coeli il 22 ottobre 2009.

Tarek poi chiese di ricopiare tutto a un'altra persona che era detenuta, Stefano Capponi: ora quella lettera è agli atti del processo a carico di sei medici, tre infermieri e tre guardie carcerarie. Le accuse, a vario titolo, vanno dalle lesioni e abuso di autorità fino al favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d'ufficio e falsità ideologica. Nessuno dei dodici imputati era presente nell'aula del Tribunale. "Io Cucchi non l'ho visto né conosciuto - ha detto Capponi ieri in aula a Roma - . Fu Tarek a chiedermi di ricopiargli una lettera. Era scritta in un italiano strano". Capponi ha confermato in pieno i contenuti della lettera.
Anche altri due ex detenuti, cittadini albanesi, che il giorno della convalida dell'arresto di Cucchi si trovavano come lui nelle celle del tribunale di Roma avrebbero sostenuto che Cucchi aveva raccontato loro di essere stato percosso dai carabinieri. Ieri non erano in aula perché irreperibili. Per la difesa la loro audizione è necessaria; il pm era pronto a farne a meno. Dovranno quindi essere rintracciati.
In relazione alla morte di Stefano è già stato condannato a due anni di carcere con rito abbreviato Claudio Marchiandi, funzionario del Prap (Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria). Secondo il gup che ha firmato quella condanna, Stefano Cucchi "doveva essere internato" nel reparto penitenziario dell'ospedale Pertini proprio per "evitare che soggetti estranei all'amministrazione penitenziaria prendessero cognizione delle tragiche condizioni in cui era stato ridotto".
Ricoverato lì per evitare che la situazione "venisse portata a conoscenza dell'autorità giudiziaria"; "per tenere Cucchi al riparo da sguardi indiscreti sottraendolo intenzionalmente a tutte le cure di cui aveva bisogno". Per il giudice Rosalba Liso infatti "non c'era spazio a dubbi di sorta in ordine al fatto che Cucchi fosse stato picchiato". "Stefano non doveva assolutamente entrare poiché si trattava di un paziente in un fase di acuzie".
Marchiandi per il gup "ha concorso alla falsa rappresentazione delle reali condizioni di Stefano (fu redatto dalla dottoressa Rosita Caponetti, anche lei imputata, un falso un falso certificato medico) così determinandone l'ingresso al reparto protetto del Pertini, che non sarebbe stato altrimenti in alcun modo possibile".