Alla sbarra cinque agenti di custodia di Velletri per abusi contro Ismail Ltaief, detenuto tunisino che aveva denunciato sistematici furti di cibo destinati ai reclusi.
Se il reato di tortura fosse contemplato nel codice penale italiano, forse sarebbe comparso nell'imputazione a carico dei cinque agenti di custodia del carcere di Velletri accusati a vario titolo di "brutali violenze fisiche e psicologiche" su un detenuto tunisino, Ismail Ltaief, che aveva tentato di denunciare una ruberia di carichi di cibo destinati ai carcerati.
Il caso di Ltaief - criminale incallito di 45 anni, gli ultimi trenta passati in Italia ma quasi sempre in prigione, e oggi libero ma clandestino, disoccupato e senza fissa dimora - è uno di quei casi emersi grazie al monitoraggio continuo del sistema carcerario da parte dei Radicali italiani e che, secondo la deputata Rita Bernardini e la segretaria dell'associazione "Detenuto Ignoto" Irene Testa (entrambe in sciopero della fame dal 6 giugno scorso), "ha rischiato di diventare un secondo caso Cucchi".
I cinque poliziotti penitenziari, attualmente sospesi dal servizio e sottoposti a diverse misure restrittive, sono invece imputati nel processo che si è aperto il 14 luglio scorso per lesioni gravi e intralcio alla giustizia (l'ispettore Roberto Pagani e gli assistenti Giampiero Cresce e Carmine Fieramosca), e di violenza privata (gli assistenti Antonio Pirolozzi e Mauro Bussoletti).
Reati che, a differenza della tortura, possono sempre cadere in prescrizione e per i quali comunque in concreto non rischiano più di tre anni di pena. Ma gli inquirenti di Velletri coordinati dal procuratore capo, Silverio Piro, starebbero lavorando anche ad un'altra indagine - secondo quanto riferisce il difensore di Ltaief, l'avvocato Alessandro Gerardi - che coinvolgerebbe "non solo il corpo degli agenti di custodia ma anche i vertici amministrativi, riguardo un'ipotesi di reato più grave, quella di peculato".
All'epoca dei fatti, fino al maggio 2010, Ismail Ltaief, "che lavorava nelle cucine del carcere di Velletri, si è accorto - racconta Gerardi - di un sistema che andava avanti da tanto tempo: alcuni agenti sottraevano ingenti carichi di cibo destinati ai carcerati. Riferisce di essere stato l'unico ad essersi ribellato, nonostante fosse stato blandito con promesse di vario genere. Poi è stato minacciato fino ad un pestaggio violento che lo ha condotto quasi alla morte".
Secondo i referti del pronto soccorso dell'ospedale Belcolle di Velletri dove il detenuto è stato trasportato l'1 giugno dopo un colloquio con il magistrato di sorveglianza, Ltaief riportava contusioni, ecchimosi e la "frattura dell'apofisi trasversa destra di L1" causate da un "mezzo di natura contusiva a superficie relativamente ampia" "animato da notevole forza viva", e da "pugni e calci". Secondo Ltaief, che in un'occasione aveva ritirato la denuncia di peculato e di abusi "convinto - dice - dalle guardie che si erano impegnate a lasciarmi in pace", i pestaggi sarebbero avvenuti in tre occasioni.
Nel frattempo avrebbe ricevuto minacce, come quella di venire "murato in un pilastro di cemento", e tentativi di corruzione, come l'offerta di "15 mila euro per ritrattare". D'altra parte, la posta in gioco è alta, sempre che si riscontri effettivamente il reato di peculato: "Arrivavano cozze, carciofi, peperoni - raccontava qualche giorno fa Ltaief in conferenza stampa con i Radicali - ma ai detenuti veniva data pasta in bianco".
Ora Ltaief è libero per fine pena. Ma nessuno gli offre un lavoro e dopo trent'anni rischia di venire rispedito in Tunisia. Salvo poi essere richiamato come parte civile il prossimo 10 novembre, alla seconda udienza del processo contro un pezzo dello Stato.