"La mattina in Tribunale - sostiene il padre - era gonfio come un pallone". "La sera prima in caserma - ricorda un carabiniere - dichiarò: M'hanno menato gli amici miei".
La seconda udienza del processo Cucchi, il trentenne di Tor Pignattara morto in ospedale dopo un fermo per spaccio, non scioglie i rebus di un giallo in cui il crollo d'immagine dello Stato continua a mescolarsi senza sosta con dubbi, incertezze e versioni sideralmente lontane.
I giudici in aula hanno ascoltato la voce del detenuto registrata il 16 ottobre del 2009 -"Scusate, non riesco a parlare tanto bene" - ma hanno anche scoperto due cose che potrebbero non essere un dettaglio. Cucchi, secondo il papà, si allenò in una palestra di boxe anche il giorno prima dell'arresto e due anni prima disse al medico di un centro per tossicodipendenti - la relazione è stata acquisita dai giudici su richiesta di uno dei difensori - di essere caduto da una finestra riportando alcune fratture alle vertebre.
Il dibattimento sta cercando di diradare le nebbie in un labirinto giudiziario dove ognuno porta acqua al suo mulino. Non sarà un gioco. Ieri i magistrati e i giurati popolari, prima di sentire i genitori della vittima, hanno avuto al conferma che Cucchi nella notte del fermo rifiutò il ricovero. Lo ha ricordato l'infermiere del 118 Francesco Ponzo, un teste fuori dalla mischia, che arrivò con un'ambulanza in caserma su richiesta dei carabinieri.
"Mi disse - ha raccontato - che non aveva nessun tipo di problema. Stava su un tavolaccio, era tutto coperto. Gli scoprii il volto e lo vidi per qualche secondo: aveva sotto gli occhi degli arrossamenti tipo eritema e forse un'ecchimosi a sinistra. Insistetti perché venisse a fare controlli e lui si spazientì: "Aho, basta! Non ho bisogno di niente, in ospedale non ci vengo".
Ma Pietro Schironi, il carabiniere che la mattina del 16 ottobre 2009 prelevò il trentenne per portarlo in Tribunale, ha confermato che sulla faccia di Cucchi c'era certamente qualcosa di strano. "Qualche schiaffo - ha detto in aula - lo aveva preso. Gli domandai come mai e chi fosse stato. Mi spiegò che lo avevano menato i suoi amici".
A casa di Cucchi a Morena - è stata ripercorsa anche questa parte della vicenda - i genitori trovarono quasi un chilo di hashish, cocaina e soldi. Il sospetto, fin dall'inizio, è che qualche trafficante avesse affidato alla vittima merce in conto vendita e che lo tenesse spietatamente sotto pressione con ogni mezzo.
La cosa, ovviamente, non cambierebbe le eventuali responsabilità degli imputati. Tre agenti della Polizia Penitenziaria sono accusati di aver picchiato il detenuto nelle celle di sicurezza del Tribunale. Ma le lesioni, secondò l'accusa, non erano fatali. Perciò per il decesso sono chiamati in causa sei medici e tre infermieri del reparto carcerario del "Sandro Pertini". La madre di Cucchi, Rita, sentita ieri come ultima teste, ha detto che il figlio, la sera della perquisizione in casa, "camminava bene e non aveva segni sul volto".
"Quando l'ho rivisto morto era irriconoscibile - ha aggiunto - Prima stava bene e non aveva malattie". Il marito, Donato, ha confermato che il figlio, la mattina dopo il fermo, camminava normalmente sulle gambe e che gli disse di essere "stato incastrato". "In aula - ha aggiunto il signor Cucchi - era molto più gonfio della sera prima". Il magistrato che lo mandò in carcere però non notò nulla. Misteri, almeno per ora. Prossima udienza lunedì 23 maggio.
La sorella: per difendersi spacciano il falso per vero, di Ilaria Cucchi
Riceviamo e pubblichiamo questa lettera inviataci dalla sorella di Stefano Cucchi.
Sta succedendo qualcosa di strano durante il processo per la morte di mio fratello. E come se fosse lui sotto accusa, non chi ne ha provocato la morte. Si raccontano storie e fatti che alla famiglia non risultano. Affermazioni che sono comunque del tutto irrilevanti rispetto a quello che è realmente accaduto. E c'è chi vuol propagandare come vero il fatto che Stefano abbia riportato nella sua vita, in seguito a cadute, numerose fratture.
E che per quegli incidenti fosse stato addirittura in coma farmacologico. Ma la realtà è un'altra, perché chi dice questo lo fa esclusivamente per difendere da gravi responsabilità gli imputati, o condizionato da pregiudizi ideologici. Vengono utilizzate dichiarazioni che Stefano avrebbe rilasciato entrando in comunità terapeutica, ma che erano false. Per considerarle vere si dimentica che mio fratello aveva anche dichiarato successivamente al giudice di essere celiaco e non lo era, di essere anemico e non lo era, di essere anoressico e non lo era. E ancora, si ignora, consapevolmente, che non esiste un solo documento di cartella clinica che lo possa confermare. Che gli accertamenti clinici compiuti su di lui, negli anni successivi, non hanno rilevato segni di fratture sulla schiena. Che mai la mia famiglia è stata informata di un fatto così grave, in spregio a tutte le leggi vigenti in materia. E tutto ciò con lo scopo di spacciare il falso per vero.
Insisto sulla questione proprio perché questo gravissimo evento sarebbe stato curato al Pertini, e che ora medici, infermieri e responsabili di quell'ospedale sono gli imputati. Non è strano che non sia stato reperito alcun certificato o documento sanitario che comprovi tutto ciò? Sentiamo come ignobile questo processo alla nostra famiglia e la sistematica strategia di far dire a Stefano cose dalle le quali non può più difendersi.