Gli restavano da trascorrere in cella due anni. Era giunto quasi al termine della sua pena e anche per questo, appena due giorni fa, aveva beneficiato di un permesso premio per sbrigare alcune faccende personali a Milano. Ma Enrico Brera, 53 anni, originario di un paesino nelle vicinanze del capoluogo lombardo, la soglia del carcere non potrà più varcarla sulle sue gambe. Alle tre di ieri mattina gli agenti di turno della polizia penitenziaria del carcere di Porto Azzurro lo hanno trovato senza vita nel suo letto in cella.
Una morte misteriosa, almeno per il momento. I primi accertamenti avrebbero fatto pensare a un improvviso malore. Ma la Procura di Livorno vuole vederci chiaro e per fare piena luce sul decesso è stata disposta immediatamente un'autopsia programmata per domani. La salma è stata trasferita all'obitorio dell'ospedale di Portoferraio dopo i primi accertamenti in carcere da parte del medico legale.
Brera, dopo un permesso premio, sabato sera era rientrato in istituto e, come prevedono le norme, era stato sottoposto alla visita medica di routine. Le sue condizioni erano buone e l'uomo è rientrato in cella e si è messo a letto. Alle tre, come prassi, gli agenti di turno hanno fatto il giro delle celle e si sono accorti che il cinquantenne non dava segni di vita.
La notizia della morte del detenuto è stata annunciata dal sindacato degli agenti della penitenziaria Sappe. Il consigliere nazionale del Sappe, Aldo Di Giacomo, sottolinea come quello di Porto Azzurro sia purtroppo l'ennesimo decesso per cause naturali che avviene dietro le sbarre dove spesso si trovano recluse persone malate, bisognose di assistenza ma non sempre in grado di essere curate per problemi di personale e risorse economiche. "La percentuale di questi decessi - afferma Di Giacomo - è altissima, molto più alta che fuori dagli istituti detentivi e questo deve farci riflettere, ancora di più perché ciò avviene dentro il carcere di Porto Azzurro, fino a qualche anno fa una struttura modello". Una valutazione analoga a quella che il Sappe aveva fatto solo pochi giorni fa di fronte al tentativo di suicidio di un giovane straniero in cella nell'istituto elbano.
Enrico Brera era un detenuto tranquillo, con la passione per la scrittura, in particolare per la poesia. Con una sua opera, intitolata "Se fossi" - che riportiamo qui sopra - nel 2005 aveva partecipato al premio nazionale "Emanuele Casalini", promosso dalla San Vincenzo De Paoli e dall'Università della Terza Età. Non aveva vinto ma i suoi versi, che raccontano il dramma della prigione e della mancanza di libertà, erano stati segnalati dalla giuria tra i migliori. Di lui restano molti scritti, conservati dall'associazione Dialogo, da anni in prima fila nella battaglia per fare delle carceri italiane un luogo di recupero e rieducazione.