"La speranza è che la verità non sia lontana così come sembra oggi". Spera ancora Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, dopo l'udienza di ieri che ha visto alternarsi al banco dei testi i carabinieri che ebbero in consegna suo fratello nella prima fase della vicenda che, in sei giorni, portò alla morte del trentunenne. La fase più oscura. E che l'udienza di ieri non ha illuminato. "In pochi hanno ammesso che Stefano quando è stato arrestato non era come quello impresso su una foto scattata al suo ingresso in carcere. E questo è inquietante. Poi, abbiamo avuto conferma che Stefano richiamò l'attenzione delle guardie nella cella del tribunale e fu ignorato; c'è chi ha detto che era claudicante e sofferente alla stazione dei carabinieri e poi oggi lo ha smentito; c'è chi ha detto che indossava una cintura sui pantaloni che è sparita nel nulla".
Infatti, uno dei carabinieri ascoltati (all'epoca dell'arresto, era il 15 ottobre 2009, in servizio alla stazione di Roma Appia) ha riferito che cinque minuti prima di portare Cucchi per l'udienza di convalida, dalle celle di piazzale Clodio "qualcuno chiamo "guardie, guardie!" e una voce femminile rispose "Stai zitto che è meglio per te. E non chiamarle guardie". Quel qualcuno forse era proprio Cucchi". Sotto processo, come noto, sono finiti in 12: sei medici del Pertini, tre infermieri e tre agenti di polizia penitenziaria. Il carabiniere, così come gli altri colleghi in aula dopo di lui, ha confermato che l'impatto visivo avuto di Cucchi la notte dell'arresto e il giorno successivo fu di una persona "senza particolari segni sul corpo. Non si lamentava, era solo preoccupato per la famiglia. Era una persona tranquilla, lucida"; unica alterazione "un calcio a una sedia dopo la convalida del suo arresto". Un altro militare ha aggiunto che, in aula, "lui era silenzioso, sembrava preoccupato, mentre in caserma era scherzoso".
Anche il maresciallo di Roma Appia ha ripetuto che "stava bene, era tranquillo, spiritoso; aveva le occhiaie e i tratti di un tossicodipendente. Cucchi lo trovammo nei pressi dell'Appio Claudio mentre stava cedendo sostanza stupefacente. Avevamo avuto una relazione confidenziale che ci aveva indicato come nei pressi di San Policarpo c'era dello spaccio. L'unica sua preoccupazione era per la reazione che avrebbe avuto la famiglia. Disse che non stava molto bene con il fegato, forse che era epilettico, ma parlò soprattutto della sua tossicodipendenza". Verso le tre di notte, fu portato al comando di Tor Sapienza: "Era stanco dopo la perquisizione, non volle mangiare ma solo bere, voleva andare a riposare; niente di strano o di diverso nelle sue condizioni rispetto al momento dell'arresto". Secondo chi lo arrestò "non indicò una dimora fissa, disse di abitare saltuariamente da qualche amico e ogni tanto anche a casa dei genitori". Eppure durante l'inchiesta, un carabiniere aveva detto che Cucchi era magrissimo, tremolante per il freddo e ciondolante tanto che non poteva camminare e fu aiutato da una pattuglia di carabinieri a salire le scale delle celle di Tor Sapienza per andare in tribunale. Una volta in aula ha dato una versione completamente diversa ricordando che all'epoca Cucchi stava bene, le condizioni erano normali, si lamentava ma solo per il freddo però si muoveva agevolmente. Ma quella notte Cucchi fece chiamare un'ambulanza del 118 (senza un medico a bordo e che ripartì vuota) e arrivò in aula con documenti taroccati per cui sarebbe stato un albanese, più vecchio di sei anni e senza fissa dimora.