Mario Di Fonso aveva 35 anni e chi lo conosceva lo descrive come un bravo ragazzo, faceva il giostraio a Lanciano, alla fine dei Viali. Viveva con la madre, lo conoscevano tutti e molti gli volevano bene. Ieri mattina si è impiccato in carcere dove era finito per una storia di droga: ha legato alle sbarre della finestra le strisce ricavate da un lenzuolo e in pochi attimi è spirato. L'allarme è scattato intorno alle 11, il medico del penitenziario è intervenuto subito, nulla ha potuto l'equipe del 118, arrivata dopo qualche istante.
L'ora precisa della morte si saprà solo con l'autopsia, già disposta dal Pm Silvia Santoro. In quella cella Di Fonso non era l'unico ospite, nessun detenuto ha questo "privilegio". La domanda é: era solo nel momento in cui ha deciso di farla finita? I reclusi hanno la possibilità di uscire nel cortile per la cosiddetta ora d'aria che, a seconda degli istituti di pena, può ripetersi più volte al giorno e prolungarsi oltre i 60 minuti, generalmente al mattino va dalle 8,30 alle 11. Tuttavia c'è chi torna prima, c'è chi si addormenta, chi proprio non esce dalla cella come lo stesso Di Fonso. E naturalmente, più detenuti restano dentro, più numerosi devono essere gli agenti di custodia. Da Lanciano, dove fu arrestato il 21 ottobre nell'ambito dell'operazione "Prima Pagina" - maxi retata sullo spaccio in Val di Sangro - Di Fonso era arrivato a San Donato l'8 gennaio.
Sono state aperte due inchieste, una penale e una amministrativa, interna, per escludere eventuale responsabilità di terzi. Attualmente i detenuti sono 240 per 200 posti disponibili, il 20 per cento in più rispetto alla capienza standard. La sovrappopolazione è determinata anche dal fatto che un padiglione è in ristrutturazione, i lavori finiranno entro la fine dell'anno.
Dal 2007, anno dell'arrivo del direttore Franco Pettinelli, questo è il primo suicidio di un detenuto a San Donato. Tredici i casi in tutta Italia dall'inizio dell'anno, l'ultimo l'altro ieri nella casa circondariale di Reggio Calabria. Ne dà notizia il centro di documentazione "Ristretti orizzonti", di Padova. Giulio Petrilli, responsabile Pd dipartimento diritti e garanzie, ricorda il primato dei suicidi delle carceri di Sulmona e Teramo e sottolinea come la Regione Abruzzo sia una delle poche a non aver istituito finora la figura del garante dei detenuti.
Dramma della disperazione in cella (Il Centro, 21 marzo 2011)
La disperazione è un lenzuolo bianco legato alle sbarre del letto. È l'aria che manca e la vita che si spegne con lo sguardo, l'ultimo, rivolto fuori, oltre la finestra della cella, terza sezione penale del carcere di San Donato. M.D.F., di Lanciano, ci stava da un mese.
Ieri mattina ha scelto di farla finita mentre un compagno dormiva e gli altri due erano fuori per l'ora di passeggiata. Se n'è accorto poco prima di mezzogiorno un agente penitenziario durante uno dei tanti giri di ricognizione. Ma per il giovane, 36 anni a maggio, non c'era più nulla da fare.
In carcere dalla fine dello scorso settembre per una vicenda di droga, a Pescara era arrivato un mese fa, trasferito dall'istituto penitenziario di Lanciano dove era stato coinvolto in una rissa tra detenuti. A Pescara, dopo la prima settimana in osservazione in una cella da solo, era stato spostato nella terza sezione giudiziaria, una sezione per detenuti comuni dove attualmente vivono in 75. Lui condivideva una cella con tre italiani.
Proprio negli ultimi tempi aveva espresso la volontà di entrare in una comunità per il recupero di tossicodipendenti. Ma era in attesa dell'esito del processo, spostato dal 21 febbraio al prossimo 4 aprile. Un tempo relativamente breve, ma forse infinitamente lungo per chi non ce la fa più a stare sull'altalena tra il bene e il male, tra la vita e la droga. Perché è per la droga, conosciuta a 16 anni, che M.D.F. era stato più volte arrestato, l'ultima a settembre scorso. Una operazione (otto arresti) con cui la polizia di Lanciano aveva stroncato un traffico di stupefacenti che da Pescara e Giulianova finiva in Val di Sangro. Un giro d'affari, secondo gli investigatori, di circa 100mila euro a settimana, ma di cui ben poco avrebbe beneficiato il giovane lancianese, ritenuto solo una delle pedine più in basso utilizzata per custodire o cedere le dosi. Una vita sempre al bivio che negli ultimi tempi il giovane, proveniente da una famiglia di lavoratori, avrebbe iniziato a rinnegare. Fino a ieri, quando le sue intenzioni sono naufragate tragicamente.
Una fine per la quale la sua famiglia, a Lanciano, non si dà pace. "Sono andata a trovarlo martedì", racconta al telefono la moglie del fratello, "e stava malissimo. Mai visto in quelle condizioni. Se in un'ora ha detto dieci parole è troppo. Era più di un mese che non ci scriveva una lettera. Era appassionato del Grande fratello e non guardava più neanche la televisione. Mi ha detto "non esco più, sto sempre al letto". Si era lasciato proprio andare. Ma come hanno fatto, in carcere, a non accorgersi che il ragazzo, sempre attivo, una roccia, due metri alto, che altre volte era stato detenuto senza mai abbattersi, era caduto in questa forma di depressione? Siamo una famiglia molto legata, non riusciamo a spiegarci una cosa del genere. Aspettiamo solo l'autopsia, lunedì, per capire".
Perché oltre al dolore, c'è il dubbio. "Forse", va avanti la cognata affiancata dalla sorella del giovane, "aveva paura di restare in carcere a lungo, ma lunedì stesso mio marito, il fratello di cui si fidava ciecamente, era stato dall'avvocato. Il 4 ci sarebbe stato il processo, e il legale gli ha mandato a dire di non preoccuparsi, che tra meno di un mese stava fuori. Allora, cosa è successo? Ci hanno detto che è suicidio, ma come ha fatto a preparare tutto quel lenzuolo, ad arrampicarsi per legarlo, con un'altra persona che dormiva nella cella? Arrivati a questo punto vogliamo capire, qualche dubbio ce lo poniamo. Almeno finchè non sappiamo il risultato dell'autopsia". E ancora: "Da due settimane gli avevano tolto il metadone, anche fisicamente non stava bene, ma proprio venerdì è arrivata la lettera che ha mandato alla madre dopo la mia visita di martedì: "Vi porto nel cuore", le ha scritto, "ci rivediamo martedì. Non vedo l'ora di vedervi per riabbracciarvi tutti"".
Giulio Petrilli (Pd): in Abruzzo triste primato di suicidi nelle carceri
"La nostra regione ha il triste primato dei suicidi nelle carceri: numerosi a Sulmona, poi segue Teramo, ma in tutte le carceri della regione si sono riscontrati suicidi di detenuti. Una triste contabilità, che dovrebbe far riflettere tutti su ciò che esse sono diventate: discariche umane, dove non vengono più rispettati i minimi diritti".
Così in una nota Giulio Petrilli, responsabile provinciale Pd dipartimento diritti e garanzie. Per Petrilli si tratta di "persone abbandonate lì, in spazi angusti e sovraffollati, senza assistenza sanitaria, senza più neanche le cose minime che prima venivano garantite, per esempio la carta igienica e il dentifricio. Il lavoro interno - spiega - ha avuto un taglio del 70 per cento, questo vuol dire che chi non ha i soldi che gli versano i familiari, vive senza nulla, neanche con l'aria, visto che in alcune celle si hanno a disposizione due, massimo tre metri quadri a persona".
"La privazione della libertà personale - aggiunge - è quindi accompagnata da una sofferenza indicibile, di ore che non passano mai e allora il suicidio per molti diventa una liberazione".
"Nella nostra regione - sostiene Petrilli - la disattenzione a questa problematica è talmente alta, che è una delle poche che non ha ancora istituito il garante regionale dei detenuti. Sul fronte sanitario potrebbe intervenire e potenziarlo, invece nulla. Non c'è stato mai in Consiglio regionale, un ordine del giorno per discutere del problema carceri in Abruzzo. Spero che ciò avvenga al più presto e le forze politiche e i consiglieri regionali decidano di affrontare seriamente il tema dei diritti dentro le carceri abruzzesi e protestare e stimolare il governo nazionale affinché faccia qualcosa". "Voltaire - conclude l'esponente democrat - diceva che la civiltà di una nazione si riscontra dallo stato delle proprie carceri, le nostre iniziano a far invidia a quelle dei paesi più arretrati e dittatoriali".