Nel Centro più grande d'Italia sono rinchiusi anche cittadini europei e vittime di tratta. Le testimonianze nelle illustrazioni che accompagnano un rapporto di Medici per i diritti umani. "Una storia sbagliata" racconta il Cie nel quale si impiccò Nabruka, mamma straniera che non voleva tornare nella Tunisia di Ben Ali.
Cittadini europei, donne vittime di tratta, immigrati "nuovi italiani" da vent'anni nel nostro Paese con le famiglie, ex detenuti. Sono alcune delle persone rinchiuse fino a sei mesi nei centri di identificazione e di espulsione (Cie) che, sulla carta, dovrebbero essere destinati al rimpatrio degli stranieri non in regola con il permesso di soggiorno. Nel Cie più grande d'Italia, quello di Ponte Galeria, alla periferia sud ovest della capitale, sono questi i volti e le storie di molti reclusi. Ognuno di loro costa allo stato 42 euro al giorno, moltiplicato per una media di 270 persone trattenute nella struttura.
Conti alla mano, oltre 4 milioni di euro l'anno per un solo centro su 13 esistenti sul territorio nazionale. A fare luce sulle storie e le testimonianze di Ponte Galeria è un rapporto di Medici per i diritti umani 1 che si intitola "Una storia sbagliata" diventato una graphic novel. Le illustrazioni realizzate da Guido Benedetti comunicano quello che gli operatori di Medu hanno visto nella loro ultima visita al Cie romano lo scorso ottobre. "Non abbiamo potuto riprendere o scattare fotografie, quindi siamo ricorsi ai disegni" spiega il coordinatore dei Medu, Alberto Barbieri.
Peggio del carcere. La struttura, aperta nel 1998, ha cambiato gestione un anno fa, passando dalla Croce Rossa alla cooperativa Auxilium 2. Rivolte, proteste e atti di autolesionismo hanno costellato la storia del centro. "Spesso ci davano da mangiare il cibo scaduto il giorno prima. Nei bagni c'erano i topi e nel centro c'era sporcizia ovunque. Una volta un ragazzo africano ha provato a scappare sui tetti ma è stato raggiunto da venti poliziotti che lo hanno riempito di botte" racconta una giovane immigrata trattenuta per quattro mesi alla fine del 2009, dopo l'entrata in vigore del pacchetto sicurezza che ha esteso da due a sei mesi il tempo massimo di reclusione nei Cie. Un periodo di tempo "disumano" anche secondo il responsabile dell'ente gestore, citato nella storia illustrata dai Medu. La costante incertezza sulla propria sorte e sulla durata del trattenimento spinge la maggior parte di coloro che ne hanno fatto esperienza a considerare l'internamento in un centro di identificazione e di espulsione "peggiore della detenzione carceraria".
Abusi legislativi. Ponte Galeria ha 366 posti, di cui 176 per gli uomini e 190 per le donne. L'80% delle detenute sono vittime di tratta e, scrivono i Medu, "si trovano in un luogo del tutto inadatto a assicurare loro la dovuta assistenza". L'80% degli uomini proviene dal carcere. Dopo avere scontato la pena per il reato commesso, queste persone finiscono nel centro per le procedure di identificazione e di rimpatrio, subendo "un'ingiusta estensione" della misura detentiva. Nel 2010 la nazionalità più numerosa è stata quella rumena, seguita da quella nigeriana, marocchina, algerina, ucraina e serba. La presenza di tanti cittadini appartenenti all'Unione Europea, i rumeni, ha suscitato allarme da parte dell'Ong. L'espulsione dei cittadini comunitari è consentita esclusivamente per motivi di sicurezza dello Stato e ordine pubblico. "Trattandosi di ipotesi eccezionali e circoscritte, un numero così alto di cittadini rumeni suscita dubbi circa possibili abusi dello strumento normativo". In media un rumeno rimane a Ponte Galeria per 8 giorni, prima dell'espulsione.
Violazioni dei diritti, situazione esplosiva. L'assistenza sanitaria fornita dall'ente gestore è solo quella di base, gli immigrati difficilmente hanno accesso alle cure specialistiche e il personale della Asl non ha accesso al centro. Psicofarmaci, ansiolitici e sedativi come gli antiepilettici sono assunti dal 50% dei reclusi. Il personale medico somministra i farmaci senza consulenza psichiatrica. Tagli multipli con le lamette da barba e simulazioni di impiccamento sono gli atti di autolesionismo più frequenti. Nel 2009 a Ponte Galeria ci sono stati tre decessi, fra cui un suicidio, su quattro in totale avvenuti in tutti i Cie. Secondo i Medu, sebbene "il nuovo ente gestore abbia assicurato che il clima all'interno del centro sia notevolmente migliorato negli ultimi mesi, il contesto permane esplosivo e imprevedibile".
Costosi e inutili. I Cie non servono a rimpatriare gli immigrati irregolari. Su una stima di 560mila stranieri senza permesso di soggiorno in Italia, nei Cie sono stati detenuti 10.913 stranieri nel 2009, di cui solo il 38% è stato rimandato nel paese d'origine. Da gennaio a settembre 2010 le persone transitate dalla struttura di Ponte Galeria sono state 1727, contro le 2667 dell'anno precedente, quando la detenzione era ancora di due mesi. Il numero è sceso, i rimpatri sono stati meno della metà, il 43% nel 2009 e nel 2010. Un'ulteriore prova che i sei mesi di reclusione non aumentano il numero di espulsioni.
Nabruka, vittima dimenticata della legge sull'immigrazione. Il racconto illustrato di Ponte Galeria è dedicato alla donna che nella notte fra il 6 e il 7 maggio del 2009 si impiccò nel bagno del Cie più grande d'Italia. Nabruka Mimuni, tunisina, doveva essere rimpatriata il giorno dopo nel paese della dittatura di Ben Ali. Era una mamma straniera di 44 anni, con marito e un figlio in Italia. Aveva passato la metà della sua vita nel nostro paese. Era stata fermata proprio mentre stava facendo la fila in questura per provare a rinnovare il permesso di soggiorno, scaduto perché era rimasta momentaneamente senza lavoro. La sua storia è la dimostrazione che nei Cie finiscono molti 'nuovi italiani', senza cittadinanza ma integrati da anni.