Stefano Cucchi rifiutò le cure, per ottenere così di contattare il suo legale, come fanno molti pazienti penitenziari. Beveva succhi di frutta e si alimentava, anche se non regolarmente, e i medici fecero tutto il possibile per convincerlo a sottoporsi ai trattamenti necessari al suo stato di debilitazione.
In una lettera aperta, inviata a dei colleghi, Flaminia Bruno, uno dei sei medici dell'ospedale Pertini rinviati a giudizio per il decesso del geometra tossicodipendente, racconta la sua verità. Replica il legale della famiglia Fabio Anselmo, per il quale i medici farebbero meglio a meditare, invece, sulle loro gravi responsabilità. Il caso continua, insomma, anche fuori dalla aule giudiziarie.
Chiedendo che la lettera abbia massima divulgazione ai suoi colleghi, la Bruno affronta diversi nodi del caso: il certificato in cui il medico di turno attestò una "presunta morte naturale" in base agli elementi che aveva a disposizione, chiedendo però subito l'esame autoptico perché si facesse chiarezza su una morte che chiara non era; la circostanza del 'rifiutò delle cure da parte del paziente; il fatto che le macchie mostrate nelle foto accessibili sul web siano 'non lividì, come si sarebbe voluto far pensare, "ma macchie ipostatiche", tipiche della fase post mortem, in un corpo sottoposto fra l'altro ad autopsia.
"Ciò che mi ha finalmente motivato è l'indignazione rispetto alla falsità ed ipocrisia con cui il caso del povero Stefano Cucchi continua ad essere orchestrato. Un giovane - scrive Flaminia Bruno - che probabilmente ha subito soprusi per tutta la vita anche dopo la morte è stato usato per costruire un teorema orribile, fondato sulle menzogne: sei medici e tre infermieri si sarebbero accordati per volontariamente lasciar morire un giovane tossicodipendente per coprire il fatto che tre agenti di polizia penitenziaria gli avrebbero inferto delle lesioni. Terribile".
Replicando all'accusa di abbandono di incapace, di cui la Bruno risponde come gli altri nelle aule giudiziarie, il medico scrive oggi: "Noi siamo riusciti a sottoporlo a visita ortopedica, effettuare la radiografia alla schiena, i prelievi ematici, somministrare gli anti - dolorifici e farmaci per l'epilessia. Il ragazzo ha sistematicamente rifiutato ogni altro trattamento e indagine proposta: Ecg, Tac cranio, ecografia addominale, reidratazione per via endovenosa, visita internistica quotidiana, visita oculistica. È chiaro che in questo modo il medico ha le mani legate. Abbiamo insistito ripetutamente ad ogni occasione che lui mangiasse e bevesse, gli abbiamo procurato un vitto personalizzato per celiaci in quanto lui dichiarava di esserlo". Cucchi era, per tutti i medici che hanno avuto a che fare con lui, nel pieno delle facoltà mentali e "la legge italiana non consente che siano praticati trattamenti medici di alcun tipo senza il consenso del paziente ammesso che questo punto sia in grado di intendere e volere".
Secondo il medico, inoltre, dopo la morte 'improvvisa e inattesà del ragazzo, gli esami avrebbero attestato che il suo organismo fosse cronicamente debilitato. Un punto sul quale replica la difesa della famiglia: "In riferimento al presunto stato di debilitazione, il medico oltre a dire il falso, ignora gli specifici, molteplici e concordati riscontri del processo che danno Stefano prima dell'arresto al lavoro e addirittura in palestra. Una attività ricostruita da noi come dalla Procura".
"Sono sconcertato e perplesso del fatto che parlino di ipocrisia - conclude - coloro che avrebbero potuto salvare Stefano Cucchi e non lo hanno fatto. I medici, anche in considerazione del fatto che Stefano non può più difendersi farebbero meglio, invece, a meditare sulle gravi responsabilità configurate a loro carico dalla Procura".