Il detto "Il meglio è nemico del bene" è di ambigua interpretazione. Qui vorrei impiegarlo, invece, con massima chiarezza: per descrivere uno scenario istituzionale - e un paese - in cui una qualsivoglia eccezione a una ingiustizia consueta appare immancabilmente positiva, confortante, meritoria. Anche quando quella eccezione riproduca a sua volta storture, ribadisca solo attenuato il senso del torto dal quale si discosta.
Per capire meglio ciò a cui mi riferisco si può fare riferimento alla sentenza che pochi giorni or sono ha condannato una persona a due anni di reclusione e ne ha rinviate a giudizio altre 12 in merito alla morte di Stefano Cucchi, un giovane detenuto scomparso un anno e mezzo fa, morto in ospedale senza cure dopo essere stato brutalmente picchiato dagli agenti che lo avevano in custodia.
La sentenza costituisce un passo avanti. Certo. In un paese in cui di norma i maltrattamenti e persino le uccisioni dei detenuti rimangono impuniti (posso confortare questa affermazione con un ricco archivio di casi), che si istituisca un processo, che vengano emessi rinvii a giudizio e condanne è - appunto - un'eccezione. Come tale viene salutata e accolta, positivamente.
E, tuttavia, rimane da spiegare la reazione dei familiari e della difesa (corroborata persino da alcuni passaggi della sentenza): sono disposti ad annullare tutto, a ricominciare da capo, ad archiviare 18 mesi di iter giudiziario per tornare a una semplice udienza preliminare pur di vedere gli agenti di custodia imputati di omicidio (almeno preterintenzionale) e non di semplici lesioni e abuso d'autorità.
Le foto del corpo di Stefano, massacrato di botte, le ricordano in molti: a fronte di quelle immagini, una perizia medico-legale spiega che quel giovane è morto per mancata assistenza medica, come di una patologia pregressa e mal curata. Ovvero, la risultante del processo appena celebrato misconosce la relazione tra il pestaggio, il ricovero d'urgenza -anomalo per moltissimi aspetti procedurali, vero e proprio "nascondimento" di un "quasi cadavere" - e la morte del giovane in ospedale. "Stefano è stato ucciso dalle botte che l'hanno portato all'ospedale dove non è stato curato come doveva", dice a commento della sentenza sua sorella Ilaria.
"È rimasta l'idea che le percosse non siano collegate con la fine di Stefano, come se fosse finito in ospedale per chissà quali motivi". Già, chissà quali. Perché, al momento, gli agenti che lo hanno ridotto in fin di vita sono accusati di qualche scapaccione o poco più. Però Gianni Alemanno e Renata Polverini hanno espresso la loro soddisfazione per la sentenza; ed Enrico Letta ha parlato di "segnale positivo". Certo: "meglio" della consueta impunità che trionfa in casi come questi; ma del "bene", solo l'ombra.