Dall'inizio del 2011 sono già cinque i detenuti nelle carcere italiane che si sono tolti la vita, circa uno ogni quattro giorni. Ma il caso di Michele Massaro, 23 anni, morto a Perugia il 12 gennaio, non è un caso come gli altri.
"Nostro figlio non si è ucciso, il gas della bomboletta che aveva in cella per preparare il cibo lo ha ucciso lentamente e nessuno lo ha salvato" dicono infatti i genitori del giovane che si trovava in carcere da quattro mesi e dove doveva restare fino al 2018 per scontare una condanna ad un cumulo di pena di otto anni e sei mesi per una serie di furti e rapine.
La storia di Michele, raccontata sulla edizione di Taranto del quotidiano "La Gazzetta del Mezzogiorno", è un vero mistero. Un mistero, però, su cui i genitori sono intenzionati a fare chiarezza. Michele Massaro poco più che adolescente era diventato tossicodipendente e negli ultimi tempi, invano, aveva anche cercato di disintossicarsi in una comunità. Ma poi era ricaduto nella rete della droga e per procurarsi le dosi aveva compiuto furti e un paio di tentativi di rapine. Era stato sempre poi arrestato dalle forze dell'ordine fino a quanto il tribunale lo ha condannato ad un cumulo di pena.
Soffriva di depressione Michele e per curarla assumeva numerosi farmaci. Eppure è stato lasciato solo in cella e con la disponibilità di una bomboletta del gas necessaria, ufficialmente, per preparare i pasti. Dall'autopsia, infatti, risulta che il ragazzo aveva gli alveoli dei polmoni saturi di gas che, evidentemente, inalava abitualmente. "Michele non si è tolto la vita. La sua morte non è stato un suicidio come all'inizio volevano farci credere. Il gas lo ha ucciso lentamente e nessuno lo ha salvato", dicono i genitori. "Era disperato il mio Michele - racconta il papà del ragazzo, Mimmo - perché voleva tornare in comunità dove era seguito e dove aveva iniziato il percorso di disintossicazione. Ma il giudice è stato inflessibile. Non si è reso conto di avere di fronte un ragazzo debole e spaventato".
Due giorni prima di Capodanno mamma Michela e papà Mimmo sono andati a trovare Michele in carcere dove lo hanno trovato "pallido come un cencio", respirava a fatica e sembrava asmatico. Hanno chiesto di essere ricevuti dal direttore del carcere ma nessuno ha risposto. Hanno quindi chiesto che il figlio fosse sottoposto a visita medica e il medico che ha visto Michele ha poi riferito ai due genitori che il figlio "ha il cuore forte come un toro". "Ma a mio figlio - racconta la mamma - non è stata fatta ne una spirometria, né un'analisi del sangue". Una settimana dopo il giovane è morto per infarto. Una morte facilmente classificata come suicidio, ma che suscita tante perplessità e lascia tanti dubbi ancora irrisolti.