Troppe morti nelle nostre carceri, troppe morti nel penitenziario di Livorno: tanto l'Arci che i dipietristi dell'Idv (per bocca del consigliere comunale Lorenzo Del Lucchese e del coordinatore giovanile Jacopo Bertini) chiedono che sia fatta chiarezza sulla tragica fine di Yuri Attinà e più in generale sulle condizioni di vita all'interno delle celle. Intanto oggi alle 15 davanti alle Sughere il Comitato Verità per Yuri ha organizzato una manifestazione: "Non vogliamo che sia sepolto senza che siano individuati responsabili e omissioni".
Per l'Arci bisogna "individuare, tramite autopsia, non solo il meccanismo del decesso ma anche le sue effettive cause". Yuri - dice - "è morto nella Casa Circondariale di Livorno, luogo che da alcuni anni vanta un triste record di decessi, in linea del resto con l'alto numero di morti (oltre 1700) che negli ultimi 10 anni si sono verificate nel mondo carcerario italiano". E aggiunge: "Si è discusso innumerevoli volte sulla criticità e l'inadeguatezza delle nostre strutture carcerarie, soffocate tra sovraffollamento, incuria e carenza di personale, ma finora ciò non è servito ad individuare soluzioni effettivamente efficaci". Il carcere è "rimosso dal perimetro sociale della città e dalla comunità locale": è una "realtà comunitaria in cui si riesce sempre meno a garantire la dignità e la qualità della vita di chi lo abita e uno spazio fisico in cui è sempre più difficile dare un senso alla pena".
Ma l'Arci insiste anche su un altro aspetto: la biografia di Yuri "racconta di una persona immersa in una situazione poco adatta a fronteggiare la dura esperienza del carcere, e in particolare del carcere così com'è oggi: una soluzione che lo portasse a scontare la sua pena in una realtà alternativa all'istituto di pena si è rivelata, a posteriori, più urgente di quanto dinamiche giudiziarie e circostanze pratiche abbiano costretto ad attendere".
L'Arci ribadisce che la qualità della vita carceraria "sta diventando uno dei principali metri su cui si misura il grado di civiltà di un paese": deve essere visto come "un obbligo non solo legislativo ma anche morale, e un impegno che, a seconda delle proprie funzioni, tutti devono assumersi, dai funzionari ministeriali fino ai semplici cittadini".
A nome dell'Italia dei Valori Del Lucchese e Bertini segnalano che "le dinamiche dell'accaduto sono ancora sconosciute ed è forse troppo presto per giungere alle conclusioni": tuttavia - rilevano - "questo non sia un caso isolato nelle carceri italiane, ma soprattutto in quello di Livorno". Si pensi ai "troppi decessi avvenuti negli ultimi anni: uno su tutti il caso di Marcello Lonzi che attende ancora oggi una calendarizzazione presso la Corte di Cassazione".
L'Idv non vuol mettere in dubbio "l'utilissimo (e spesso indebitamente supportato) operato delle guardie carcerarie" alle prese con "mancanza di personale e di fondi". Resta lo "sgomento di fronte a questo ennesimo episodio, perché un uomo in carcere, nelle mani dello Stato, non dovrebbe morire". Servono indagini "senza interferenze" che "portino ad una risposta serena" e "individuino delle responsabilità ove ci fossero": lo Stato - afferma l'Idv - "deve dare delle risposte per non mettere in crisi la fiducia dei cittadini nelle istituzioni".