Si chiamava Rambo Djurjevic, era un rom di 24 anni. Arrestato assieme al fratello per furto, era rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Fra soli cinque mesi, a maggio, sarebbe stato scarcerato.
Cinque mesi sono niente, ma per Rambo Djurjevic devono essere sembrati troppo, interminabili, insopportabili. Ha ricavato da un lenzuolo una corda, e si è impiccato. È il 66esimo detenuto che "evade" in questo modo.
È una drammatica questione sociale. L'altro giorno ci siamo occupati del caso di Ferdinando Paniccia, 27 anni, detenuto nel carcere di Sanremo; pesava oltre 180 chili, disabile e malato. Un morto che non doveva morire, almeno non come è stato lasciato morire. Tra decessi e suicidi siamo ormai a cifre impressionanti, conferma che il carcere non è più solo luogo di limitazione della libertà personale, ma istituzione dove si rischia la vita e spesso la si perde.
La Costituzione - quella che ci si dice sia la Costituzione più bella del mondo - prescrive che il carcere sia un "luogo di rieducazione"; al contrario è una vera e propria, letterale discarica sociale dove vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell'umanità.
Il rapporto di chi si uccide tra persone in carcere e libere è di 19 a 1: percentuale sproporzionata e spiegabile unicamente con la difficile situazione psicologica derivante dalla limitazione della libertà personale.
Recenti ricerche, si legge nel documento elaborato dall'Unione delle Camere Penali, "hanno dimostrato correlazione fra sovraffollamento e suicidi. In nove istituti dove si registrano almeno due suicidi all'anno, il tasso medio di sovraffollamento è del 176 per cento contro il 154 a livello nazionale e la frequenza dei suicidi è di 1 su 415 detenuti a fronte di una media di 1 su 1.090".
Non solo: "Un'altra ricerca evidenzia come i regimi speciali di detenzione (che riguardano il 10 per cento della popolazione carceraria) nel 2010 siano stati interessati dal 60 per cento dei suicidi. Un dato che dà ragione a chi definisce il regime del 41 bis una "tortura bianca", dove molte limitazioni, più che ai giusti criteri di sicurezza, si ispirano a criteri di applicazione disumana della pena". Inerte, indifferente, impotente il ministro della Giustizia, la sua maggioranza. Ma inerti, indifferenti, impotenti, anche le opposizioni. Quello delle carceri, della giustizia, è il più grande e grave problema sociale del paese. Ma non vedono, non sentono, non parlano. Intanto nella discarica che chiamano prigione si soffre, si muore.