Il magistrato dice che nel suicidio in cella, a patto che di suicidio si sia trattato, non vi sarebbero responsabilità di terzi. Ma Addolorata Masiello, madre di Marcello Russo, morto in carcere il 23 marzo 2009, non si rassegna. E si oppone all'archiviazione del fascicolo.
Vicenda delicata quella di Marcello Russo, 45 anni, un passato pieno di ombre. Il 23 marzo 2009 venne ritrovato cadavere, nella propria cella, con un sacchetto di cellophane sulla testa e dentro una bomboletta di gas con l'erogatore ancora aperto. Suicidio o disgrazia?
La Procura di Voghera aprì un'indagine. Il titolo di reato era istigazione al suicidio. Ma circa un anno dopo, il pubblico ministero al quale è toccato il fascicolo chiede l'archiviazione. "All'esito degli accurati accertamenti effettuati - scrive il magistrato - si deve escludere che sussistano profili di responsabilità di terzi in relazione al decesso del detenuto Russo Marcello.
In particolare non sussiste alcuna istigazione o aiuto al suicidio sia perché non si configurano condotte dolose finalizzate allo scopo e sia perché non vi è neanche certezza che di un suicidio si sia trattato e non piuttosto di una morte accidentale, derivante dalla diffusa pratica fra i detenuti di assumere il gas delle bombolette per i suoi effetti euforizzanti e di "sballo".
L'avvocato Sara Bressani, che assiste la madre di Russo, non la pensa allo stesso modo. Il legale ricorda che sin da un precedente periodo di detenzione a Perugia, Russo era sottoposto a una terapia a base di antipsicotici e antidepressivi. L'avvocato elenca, poi, una serie di gesti di autolesionismo. Il 4 agosto 2008, Russo si procurò tagli al torace e all'addome, ai quali fece seguito uno sciopero della fame e della sete; il 2 e 13 gennaio si sarebbero verificati altri atti che lasciarono segni sulla zona della bocca; il 17 gennaio il detenuto presentava un ematoma frontale; il giorno seguente fu medicato per ustioni alle dita; il 13 febbraio, prima fu trovato riverso a terra con un sacchetto di cellophane sul capo e la bomboletta del gas aperta, un'ora dopo ingerì una lametta da barba. Infine, il 23 marzo, vi fu l'episodio di inalazione del gas rivelatosi fatale. L'avvocato Bressani cita anche alcune lettere che i compagni di carcere di Russo scrissero alla madre. E ribadisce un concetto: se una persona viene affidata all'istituzione carceraria, la stessa ha il dovere di tutelarlo in ogni modo. Il 25 novembre è fissata l'udienza davanti al giudice, Donatella Oneto. L'avvocato Bressani chiede nuove indagini o la citazione diretta a giudizio.