La battaglia per la morte di Stefano è disputa giudiziaria. Col rischio che Ilaria e pubblica accusa siano su fronti opposti. Un anno fa quello che resta della famiglia Cucchi s'è ritrovato in una camera mortuaria intorno al cadavere sfigurato di Stefano, il figlio maschio arrestato una settimana prima e spirato nel reparto carcerario di un ospedale senza che madre, padre e sorella ne sapessero nulla.
Da quel momento sono cominciati lo strazio ma anche la battaglia civile di Ilaria Cucchi e dei suoi genitori, Rita e Giovanni, per elaborare il lutto e dare senso a una morte crudele e inspiegabile. Stefano è stato preso vivo e restituito morto da rappresentanti dello Stato, per cause e colpe che ancora non sono state chiarite; invece è proprio questo che giustamente pretende la famiglia Cucchi, e insieme a loro tutti quei cittadini che non intendono rassegnarsi a vivere in uno Stato ostile, refrattario rispetto ai loro diritti: la verità su quella fine assurda.
Ora la battaglia civile s'è trasformata in disputa giudiziaria: ci sono tredici persone (agenti penitenziari, personale medico e ministeriale: meno di quelle che i familiari di Stefano avrebbero voluto) per le quali i pubblici ministeri hanno chiesto il processo. Si discute sui reati contestati, ed è cominciata l'abituale battaglia di perizie; nuovi accertamenti chiesti dalla parte civile per adesso sono stati negati. Com'è ovvio gli imputati si difenderanno con ogni mezzo, ma da alcuni passaggi s'intravede il rischio che pubblica accusa e parenti della vittima procedano su strade diverse e addirittura contrastanti.
Speriamo che non accada, e che Ilaria e i suoi genitori non debbano trovarsi ancora una volta sul fronte opposto alle istituzioni. È già successo nei sei giorni del mistero, quando Stefano è passato da caserme dei carabinieri, camere di sicurezza, carcere e ospedale senza che i suoi parenti fossero minimamente informati di come la sua situazione stesse degenerando: i genitori erano dietro una porta e non li lasciavano entrare, mentre dall'altra parte il figlio stava esalando gli ultimi respiri; e subito dopo, quando s'è parlato di decesso per cause naturali. Adesso la famiglia Cucchi chiede che lo stesso Stato che lo aveva in custodia restituisca a Stefano almeno un po' di dignità, facendo tutto il possibile e il necessario per arrivare all'individuazione e alla condanna dei responsabili. È l'unico modo attraverso il quale si possa elaborare il lutto: non solo quello privato della famiglia Cucchi, ma il lutto collettivo di una società che di fronte a una morte tanto oscura non può tollerare l'impunità e l'oblio.