Un anno fa moriva mio fratello Stefano, mentre si trovava sotto la custodia dello Stato e dei suoi rappresentanti. Moriva dopo essere stato fermato per possesso di sostanze stupefacenti, dopo la convalida dell'arresto da parte di un giudice e un pm che, come ho appreso leggendo gli atti d'indagine, non lo avevano nemmeno guardato in faccia, non si erano nemmeno accorti che Stefano aveva il volto gonfio per le botte prese nei sotterranei di quello stesso tribunale.
Subito dopo mio fratello veniva inghiottito dal carcere e alla sua famiglia veniva negata ogni informazione sulle sue condizioni, a copertura del pestaggio che - oltre alle varie ecchimosi evidenti - gli aveva provocato delle fratture gravi alla colonna vertebrale e tutta una serie di conseguenze connesse ad esse. Dopo sei giorni dal suo arresto, siamo stati informati della sua morte tramite il decreto per l'autopsia, quando l'incarico era stato già conferito, per "morte naturale". In poche parole si è ritenuto opportuno avvisare della morte di Stefano prima il medico legale che la sua famiglia. Ma d'altra parte questo rispecchia in pieno un atteggiamento che ho capito essere molto spesso insito all'interno del mondo carcerario. Quello di Stefano è stato il 79esimo decesso in carcere avvenuto nel 2009.
Dopo circa un mese ce ne fu un altro, quello di Simone La Penna, in circostanze che appaiono inquietanti, foss'anche solo per la sconvolgente negligenza che c'è stata nei suoi riguardi, che fa pensare a comportamenti che troppo spesso in quelle realtà fanno parte della consuetudine. Una famiglia consegna un proprio congiunto, sano, nelle mani delle Istituzioni. Quelle stesse Istituzioni lo restituiscono morto e non si sentono nemmeno in dovere di dare delle spiegazioni. E così, nei rari casi in cui quella famiglia ne trova la forza, inizia una lunga e dolorosa battaglia, spesso al di sopra delle proprie capacità. Una battaglia che porterà quella famiglia, già duramente provata, a scontrarsi con i pregiudizi e con i muri fatti di ostilità e coperture. Con uno spirito di corpo che a pensarci bene danneggia solo che lo mette in atto.