Un anno fa la morte di Stefano Cucchi. È il 22 ottobre del 2009, e il 31enne romano è stato arrestato solo poco giorni prima, il 16 ottobre, nei pressi del parco degli Acquedotti per essere stato trovato in possesso di una ventina di grammi di sostanze stupefacenti. Sei giorni in parte ancora avvolti nel mistero e su cui ancora si deve fare chiarezza. A chiederla è in primis la sua famiglia.
Cucchi viene portato prima in Tribunale per il processo per direttissima, poi a Regina Coeli, al Fatebenefratelli e infine all'ospedale Sandro Pertini, dove muore. Durante questo periodo la famiglia tenta invano di vedere Stefano, (ex) tossicodipendente, e di parlare con i medici che lo hanno in cura. La famiglia non crede alla ricostruzione della 'morte naturalè e presto pubblica le fotografie dove Stefano appare con il corpo tumefatto.
Si aprono diverse inchieste. I pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy ordinano una consulenza, il cui esito afferma "il rapporto diretto tra le lesioni e la morte". Anche le perizie eseguite dai consulenti della famiglia rivelano che "Stefano Cucchi non è morto per disidratazione", ma per un trauma che ha provocato la frattura della colonna vertebrale e che secondo i periti di parte civile risale tra le ore 14 e le ore 15 del 16 ottobre. Il decesso sarebbe avvenuto dunque "per cedimento cardiaco connesso con le entità traumatiche ricevute".
Lo scorso 15 luglio si apre al Tribunale di Roma l'udienza preliminare, con la richiesta di rinvio a giudizio per tredici persone formulata il 17 giugno dai pm. Si tratta, nello specifico, dei sei medici e tre infermieri (tutti in servizio al Pertini e accusati di falso ideologico, abuso d'ufficio, abbandono d'incapace, rifiuto di atti d'ufficio, favoreggiamento e omissioni di referto a seconda delle singole posizioni processuali), di tre agenti penitenziari (per loro l'accusa è lesioni aggravate e abuso d'autorità) e del direttore dell'Ufficio detenuti del Provveditorato dell'amministrazione penitenziaria (accusato di falso ideologico e abuso d'ufficio).
Nel corso dell'udienza preliminare, l'avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, chiede al gup di disporre una perizia per stabilire le cause della morte di Stefano e per dimostrare l'insufficienza del reato di lesioni contestato agli agenti penitenziari, che secondo il legale dovrebbero rispondere di omicidio preterintenzionale. È di ieri la decisione del gup di respingere la richiesta per la superperizia.
La sorella Ilaria: ancora non si vuole ammettere la verità
È stato "un anno difficile, di elaborazione del lutto", iniziato con "l'incredulità che provavo quando mi hanno chiamato per il riconoscimento all'obitorio del corpo di Stefano". Una sensazione che "ricordo perfettamente", e che è durata "per un lungo periodo".
Così Ilaria Cucchi racconta all'agenzia Dire un anno senza Stefano, quello trascorso da quel 22 ottobre 2009, quando dopo sei giorni dall'arresto per droga il 31enne romano è morto nel reparto detentivo dell'ospedale Sandro Pertini di Roma. E proprio Ilaria quell'incredulità e quel "dolore" ha deciso di viverli "pubblicamente", di condividerli da subito con la stampa e la televisione, cui ha affidato le immagini drammatiche del corpo del fratello. "È stato un atto di forza disperata", dettato dalla necessità di "non accettare la bugia della morte naturale. Ho gridato la mia rabbia" e sì, "ci vuole coraggio".
In questo anno "ho messo in discussione me stessa, la mia famiglia, ho parlato di tutto" a costo di rivivere "quotidianamente il dolore". Ma in ballo c'è "la verità" su Stefano, sulle cause della sua morte, ma anche sulla sua vita, che Ilaria racconta nel libro "Vorrei dirti che non eri solo" appena pubblicato da Rizzoli. "Lo racconto senza nascondere nulla, come ho sempre fatto. Non siamo una famiglia perfetta, abbiamo avuto problemi legati alla droga".
Un libro, e poi un recital, spettacoli, appelli, interviste e programmi tv: le iniziative per non lasciare che quella di Stefano rimanesse una "morte segreta", in questo anno sono state moltissime, come tanta è stata "la solidarietà che ho ricevuto.
Per questo ho deciso di dare vita a un'associazione, perché quando ricevi senti di dover ridare". Si chiamerà "Le loro voci", un "nome difficile, ma chi ci è passato sa che l'ostacolo è non sapere a chi rivolgersi", perché "potenzialmente può capitare a tutti". E poi "Le loro voci" sarà "un monito per lo Stato e per le forze dell'ordine, affinché sappiano che esiste una associazione che non lascia sole le persone".
È arrabbiata Ilaria. Contrappone la "trasparenza, con cui ho sempre raccontato tutto", alla giustizia, che "evidentemente non è per tutti, non per le persone come noi, non per Stefano". Il suo corpo "parla chiaro", ma si cerca di "sminuire le responsabilità degli autori del pestaggio". Ieri la notizia della superperizia rifiutata dal gup e richiesta dalla famiglia di Stefano, "umiliata in aula da qualcuno che non voleva che fossimo lì - dice ancora Ilaria all'agenzia Dire - Ci hanno fatto accompagnare fuori da un carabiniere. Chiederò agli avvocati di fare un esposto per capire da chi è partito l'ordine". Lei è stata "accusata di avere troppi rapporti con i media", ma "per me non è un problema se i giornalisti assistono alle udienze".
Non vuole far passare nulla sotto silenzio Ilaria, nemmeno la giornata di venerdì, che segna un anno esatto dalla morte di Stefano. Anche questa sarà piena di incontri e iniziative, ma "in modo pacato. Abbiamo organizzato tutto nella nostra parrocchia, la Santa Giulia a viale Filarete, nel nostro quartiere". Ci sarà la commemorazione alle 15.30, poi "gli altri appuntamenti, a cui tengo molto: di nuovo la presentazione del libro, uno spettacolo della compagnia Magma teatro che si chiama "Un cucchiaino", a ricordare che a salvare Stefano, almeno secondo i magistrati della Procura di Roma, "sarebbe bastato un po' di zucchero". "Abbiamo invitato anche altri familiari", quelli che hanno vissuto "storie simili alla nostra, come Lucia Uva". Venerdì in parrocchia, Davide Silla canterà il suo rap per Stefano Cucchi, "E poi finalmente la luce". Quella sulla verità della morte di Stefano, quella che "noi sappiamo - dice Ilaria - ma che non si vuole ammettere".
Antigone: quella dei giudici è una decisione non apprezzabile
Secondo il difensore dei detenuti, Anastasia, "non si capisce la ragione per cui i giudici non hanno ammesso le ulteriori perizie su Stefano Cucchi. Sarebbe lecito qualsiasi tentativo di approfondire la verità".
"Non si capisce la ragione per cui i giudici non hanno ammesso le ulteriori perizie su Stefano Cucchi richieste dalla famiglia". Così Stefano Anastasia, difensore civico dei detenuti dell'associazione Antigone, sul caso del giovane romano arrestato il 15 ottobre del 2009 e deceduto una settimana dopo all'ospedale Sandro Pertini. "Sarebbe lecito - ha spiegato Anastasia a margine di un convegno sul carcere a Firenze - qualsiasi tentativo di approfondire la verità. Pertanto quella dei giudici non è stata una decisione apprezzabile". Anastasia ha poi precisato che, oltre all'ormai noto caso Cucchi, "in Italia ci sono tanti altre violenze di cui non sappiamo nulla". "Nelle carceri italiane - ha detto - ogni anno si registrano circa 150 decessi, 20 dei quali sono sospetti".
Cochi (Pdl) e Valeriani (Pd): vicinanza ai familiari
"A quasi un anno dalla scomparsa di Stefano Cucchi, vogliamo esprimere la nostra più sentita vicinanza e solidarietà ai cari del giovane deceduto il 22 ottobre scorso al Sandro Pertini in circostanze ancora da accertare. Una tragica vicenda che non si restringe al dolore profondo che ha colpito una singola famiglia, ma che ha toccato l'intera comunità cittadina e nazionale, smuovendo la coscienza popolare. Una sofferenza neanche lontanamente immaginabile quella della famiglia Cucchi, resa ancora più straziante dalle difficoltà processuali emerse, e intorno a cui ci stringiamo da uomini ancora prima che da rappresentanti istituzionali. Auspichiamo quanto prima il raggiungimento della verità e che, quindi, sia fatta giustizia sulla triste vicenda che ha riguardato un cittadino romano". È quanto dichiarano Alessandro Cochi e Massimiliano Valeriani, rispettivamente consiglieri Pdl e Pd dell'Assemblea capitolina.