Via i gommoni e le carrette, adesso si viaggia su imbarcazioni di lusso, ma i migranti soffrono ancora condizioni disumane. Il nuovo traffico passa per il canale di Otranto, dopo la chiusura di quello di Sicilia. In fuga da paesi in guerra, i "clandestini", diretti in nord Europa, non chiedono asilo politico. E così rischiano il rimpatrio.
Hanno riaperto la vecchia rotta dei curdi, quella attraverso la quale, partendo dalla Turchia e arrivando in Calabria o nel Salento, per tutti gli anni '90 le organizzazioni criminali turche hanno trasportato i curdi in fuga verso l'Europa. Strada più meridionale rispetto alla tradizionale rotta Valona-Otranto usata negli stessi anni dagli scafisti albanesi, e in seguito abbandonata ma mai chiusa davvero e rimasta lì inutilizzata fino a quando gli accordi fatti dal governo italiano con la Libia del colonnello Gheddafi, e la conseguente fine degli sbarchi a Lampedusa, ha convinto i trafficanti di uomini a ripristinarla.
Chiuso il Canale di Sicilia, ecco allora che si è riaperto quello di Otranto. Stessa strada degli anni passati, stessi criminali con base in Turchia, ma nuove merci. Il posto dei curdi oggi lo hanno preso afghani, iraniani, iracheni, uomini donne e bambini in fuga da regimi o paesi in guerra e diretti anch'essi in nord Europa, Germania in particolare.
Non si tratta però dell'unica novità. Sono cambiati anche i mezzi di trasporto. Messi da parte i gommoni e le carrette, adesso si viaggia in barca a vela, metodo escogitato dai trafficanti nella speranza (rivelatasi vana) di sfuggire ai minuziosi controlli fatti dalla Guardia di finanza nello Jonio. E così sono ricominciati gli sbarchi in Calabria e nel Salento meridionale. Poca roba se si pensa agli anni in cui lungo queste stesse coste, da Riace fino a Santa Maria di Leuca e Otranto, sbarcavano a decine di migliaia, e niente anche in confronto agli oltre 20 mila arrivati fino a luglio dell'anno scorso a Lampedusa, fino a quando Gheddafi, profumatamente pagato dal nostro governo, si è deciso a chiudere (per ora) il rubinetto delle partenze. Ma i disperati che approdano oggi in Calabria e Salento sono pur sempre il segnale di un fenomeno in ripresa. In tutto, da gennaio a oggi, ne sono arrivati 914 la maggior parte dei quali, 534, afghani ma anche iraniani, iracheni, nordafricani e perfino sei birmani. Altissima la percentuale di bambini, ben 315, mentre 99 sono le donne. Il triplo rispetto al 2009, quando in tutto l'anno ne sono arrivati appena 315 (70 nel 2008).
"Lo scacchiere mediterraneo è un grande gioco di apertura e chiusura di nuove rotte. Ora che la Libia ha chiuso il canale di Sicilia, per il principio dei vasi comunicanti una parte di quel flusso migratorio si è riversata sullo Jonio. Non si può pensare di arginare fenomeni come questo" spiega Cataldo Motta, il procuratore della Repubblica di Lecce che coordina le indagini sul traffico di uomini.
Il fatto che oggi si spostino in barca a vela potrebbe far pensare che le condizioni di viaggio per gli immigrati siano migliori rispetto al passato, ma non è così. Per i trafficanti di uomini i clandestini sono e restano una merce e come tale vengono trattati: fino a 50, 60 a viaggio vengono stipati sino all'inverosimile nelle stive, dove restano per i cinque giorni della traversata in condizioni che si possono immaginare. Per ciascuno di loro il viaggio dal paese di origine fino in Germania può arrivare a costare dai 5.000 ai 10.000 dollari, tariffa all inclusive che comprende anche il costo della traversata del Mediterraneo e un biglietto per arrivare in treno fino a destinazione.
Stando ai calcoli fatti dagli inquirenti un viaggio con la barca a vela può fruttare ai trafficanti fino a 300 mila euro. Ma le indagini della magistratura hanno permesso di stabilire alcuni punti fermi. Primo luogo di raduno per tutti è Aksary, un quartiere di Istanbul dove i profughi si ritrovano dopo aver viaggiato via terra per migliaia di chilometri. È qui che si procede all'organizzazione dei viaggi in mare. Da Istanbul si prosegue sempre via terra fino ad Antalya, Smirne e Tekirdag, i tre porti dai quali salpano le barche a vela.
A questo punto agli inquirenti non è ancora chiara la rotta imboccata dalle navi. Le possibilità sono due. La strada più corta prevede il passaggio in Grecia attraverso lo Stretto di Corinto, via più breve ma più rischiosa per la maggiore sorveglianza a cui è sottoposta. L'alternativa è il passaggio a sud della Grecia per poi risalire verso la Calabria e il Salento meridionale. Importanti informazioni in più per quanto riguarda rotte, durata dei viaggi ed eventuali soste gli investigatori contano di averle ai primi di settembre, quando al pm Guglielmo Cataldi arriveranno i risultati delle analisi effettuate sui Gps delle barche sequestrate dalla finanza.
Un'altra cosa però gli inquirenti hanno potuto stabilirla. Nel loro viaggio gli scafisti fanno almeno una sosta in Grecia, nel porto di Lefkada che potrebbe essere un nuovo punto di partenza o solo un approdo utile a caricare altri clandestini. Che comunque la città greca sia coinvolta nel traffico di essere umani non sembrano esserci dubbi. A bordo di una barche a vela gli inquirenti hanno infatti rinvenuto sia uno scontrino per l'acquisto di sigarette effettuato in un negozio di Lefkada, sia la ricevuta per la riparazione di un motore eseguita sempre nel porto greco.
"Rispetto ai gommoni, le barche a vela presentano più di un vantaggio. - spiega ancora Motta che del Mediterraneo, e di chi lo naviga, conosce molti misteri - Prima di tutto la velocità. I gommoni vengono individuati più facilmente dai radar proprio per la loro velocità. La barca a vela invece, navigando a 4 nodi, desta meno sospetti. Ma a differenza dei gommoni e dei pescherecci, le barche a vela possono nascondere il loro carico illegale, rendendolo invisibile per gli aerei e gli elicotteri".
Il tallone d'Achille degli scafisti, quello che li tradisce agli occhi esperti delle motovedette della Finanza, è però la linea di galleggiamento troppo bassa. A causa del loro carico, l'acqua sfiora infatti pericolosamente i bordo delle barche, rendendo lampante il motivo del loro navigare. Fino a oggi la Guardi finanza ha sequestrato un gommone e sette barche a vela. Belle navi da crociera, nate per scopi ben diversi da quelli per cui oggi gli scafisti (quasi tutti turchi e marinai esperti, non più i vecchi malavitosi di un tempo) le utilizzano. A parte una, di proprietà di un turco, tutte sono state prese a noleggio.
Una ricevuta trovata a bordo di uno scafo battente bandiera francese certifica il noleggio per un mese per 5.000 euro effettuato presso una società francese. Ma a bordo di una di queste splendide imbarcazioni gli investigatori hanno trovato anche una strana lista. Un elenco di 27 nomi, 19 dei quali sono in seguito risultati essere i nomi di 16 afghani e 3 iraniani fermati sulle coste salentine dalle forze dell'ordine. Lo scopo della lista è ancora da accertare, anche se gli inquirenti sono convinti che ad attendere a terra i clandestini ci sia una banda di italiani che ha il compito di rivestirli e di dargli un biglietto di treno per proseguire il loro viaggio.
Per fortuna, però, ad attendere gli immigrati non ci sono solo i trafficanti. Da quando sono ripresi gli sbarchi, è ricominciata infatti anche la solidarietà. II primi immigrati, bagnati e provati dal viaggio, sono stati ospitati nelle scuole di Otranto, ma poi il sindaco Luciano Cariddi e l'assessore alle politiche sociale Lavinia Puzzovio hanno deciso di intervenire. "Non si poteva tenerli nelle scuole, dove non c'era neanche una doccia per lavarsi", spiega oggi Cariddi. Si è decido quindi di riaprire agli immigrati il vecchio centro Don Tonino Bello, chiuso dal 2005, dopo averlo ripulito e attrezzato. Tutto a spese del Comune di Otranto, che ancora oggi provvede a rifornire gli immigrati di pasti caldi e vestiti.
"Pur avendone diritto, nessuno di loro chiede asilo politico, perché vogliono andare in Germania, Per loro l'Italia è solo un paese di transito. - aggiunge don Maurizio Tarantino, direttore della Caritas di Otranto - Non capiscono che così rischiano di essere rimpatriati". Al don Tonino Bello restano poche ore, il tempo di riposare prima di essere smistati nei vari Cie. Come per la Libia, in questi giorni il governo sta cercando di fare accordi con la Grecia e Turchia perché collaborino nel fermare gli immigrati. Ad Atene e Ankara si chiedono maggiori controlli sulle imbarcazioni, ma anche più informazioni visto che fino a oggi, sia la Grecia che la Turchia hanno preferito chiudere gli occhi. "In vent'anni non è cambiato niente, l'approccio all'immigrazione è sempre e solo politico. - dice sconsolato don Maurizio - Non capiscono che non si può impedire alla gente di fuggire dalla guerra e dalle fame. Non ci riusciranno mai".