Anche quest'anno si è consumato l'ormai rituale pellegrinaggio ferragostano in carcere da parte di parlamentari e onorevoli appartenenti ai vari schieramenti. Quella che è nata come lodevole iniziativa da parte dei Radicali (Marco Pannella in testa) rischia di divenire un appuntamento pseudo elettorale o comunque una sorta di kermesse nella quale si fa sfoggio di interesse per una delle principali emergenze sociali del nostro paese, emergenza che peraltro viene nascosta o sminuita agli occhi delle persone.
Che le carceri italiane versassero in pessimo stato e vivessero al limite (se non oltre) la legalità è ormai cosa nota, visti i numeri del sovraffollamento che continuano a salire e a mietere vittime (sebbene un morto in carcere non abbia lo stesso valore sociale di un "morto libero", o almeno così è per la stragrande maggioranza dei benpensanti), ma il rapporto stilato da coloro che hanno visitato il carcere di San Sebastiano a Sassari risulta assolutamente sconcertante.
Il San Sebastiano era già tristemente noto per una delle più buie pagine della storia delle carceri italiane. Ricordiamo infatti come il 3 maggio del 2000 si verificò una "irruzione" delle guardie carcerarie all'interno delle celle che malmenarono pesantemente i detenuti (sebbene malmenare sia solamente un labile eufemismo al confronto di ciò che successe ma che, in virtù del fatto che in Italia non è riconosciuto il reato di tortura, non può essere definito diversamente ) a seguito della quale finirono in cella alti funzionari del carcere e non solo, e 18 tra ispettori e sovrintendenti; agli arresti domiciliari 59 guardie. Furono emessi ottanta ordini di custodia cautelare per violenza privata, lesioni, abuso d´ufficio e violazione dell´ordinamento carcerario con tutte le aggravanti per aver agito con crudeltà su persone inermi (purtroppo sul versante delle pene le cose non procedettero in maniera altrettanto fluida in quanto la prescrizione andò ad estinguere i reati per la maggioranza degli imputati).
Certo l'episodio non nacque dal nulla, ma si inseriva in un difficilissimo contesto ricco di tensioni e scontri fra la popolazione carceraria e il personale dell'amministrazione, situazione peraltro venutasi a creare dalle già inumane condizioni di detenzione che i ristretti subivano quotidianamente.
Ma torniamo ad oggi, dieci anni dopo, quando le condizioni di vita, continuano ad essere altrettanto inumane. Secondo il rapporto (sfociato in denuncia presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Sassari) stilato a seguito della visita effettuata dal Prof. Luigi Manconi, dall'On. Guido Melis, dall'On. Arturo Mario Luigi Parisi e dal Sen. Giampiero Scanu, "erano quel giorno custoditi presso l'Istituto 214 detenuti, ove la capienza regolamentare risulta essere di 154 posti (...).
Come evidente alla visita ai vari bracci del carcere lo spazio a disposizione di ciascun detenuto risulta assai inferiore rispetto a quello standard fissato nelle norme europee e pari a mq 7,5 (a San Sebastiano lo spazio è comunque inferiore anche alla media italiana, essendo ammassati 4, talvolta 6 detenuti in spazi di non più di 2 metri per 1,5). Nelle celle (....), il gabinetto, "alla turca", è collocato a pochi passi dai giacigli dei detenuti e dalle piccole cucine ove essi si riscaldano i pasti o si preparano il caffè; solo un abbozzo di muretto, che però non arriva al soffitto, separa una distanza tra servizio igienico e zona pasto a volte di nemmeno 1 metro.
Ciò configura uno stato di vita inaccettabile, contrario a tutte le norme sulla pubblica igiene attualmente vigenti in Italia e in Europa. Si ricorda che secondo la legge penitenziaria del 1975 i locali adibiti ai servizi sanitari debbono essere "privati, decenti e di tipo razionale". Nessuna privacy è riscontrabile a San Sebastiano, e quanto alla decenza e alla razionalità non occorre formulare ulteriori osservazioni rispetto alla semplice descrizione degli ambienti. (....) I sottoscritti ritengono di sottoporre all'attenzione della S.V. la gravissima situazione che si è venuta producendo negli anni e che è giunta (dopo un degrado documentabile di anno in anno) a uno stato assolutamente allarmante per la pubblica salute e in evidente conflitto con una concezione della pena ispirata ai più elementari principi costituzionali."
Il San Sebastiano è solamente uno dei tanti istituti di pena italiani nei quali i carcerati si scontrano ogni giorno con violazioni dei diritti e condizioni di vita assolutamente degradanti. Senza mettere in discussione il carattere afflittivo della pena, non si può negare che essa debba rivestire anche (io credo soprattutto) una funzione rieducativa e risocializzante; ma come perseguire questo scopo quando l'esempio che si offre si discosta dei dettami costituzionali?
La soluzione è ben lontana dal venire; ormai il progetto legato all'edilizia carceraria fa quasi sorridere a sentirlo, tanto che è diventato quasi un ritornello; così come l'incremento del numero di agenti penitenziari (ammesso e non concesso che quest'ultimo costituisca veramente una soluzione). L'unica vera strada percorribile è il ricorso a pene alternative alla detenzione (che come mostrato ormai da innumerevoli statistiche a livello europeo rappresenta il solo modo per diminuire il tasso di recidiva) e l'utilizzo di personale specializzato (psicologi ed educatori) in grado di affrontare, capire e comprendere i problemi dei detenuti. Ma, come ho già avuto modo di sottolineare, finché la cultura predominante sarà quella della paura e del giustizialismo, difficilmente sarà possibile veicolare un messaggio di tolleranza, rispetto e aiuto.