Samir ieri era sul tetto del Cie romano di Ponte Galeria. Trasferito da quello di Torino dopo una rivolta, ieri erano scaduti i tempi per cui era valido il suo trattenimento. Non lo hanno liberato, gli chiedevano di scendere e tentavano di rassicurarlo dicendo che non sarebbe stato rimpatriato ma non si fidava: ha già tentato altre forme di autolesionismo ed era disposto a tutto pur di non essere né rinchiuso né rimpatriato. Poi gli hanno consegnato il foglio di via: lascerà per sempre il nostro paese. La sezione maschile del Cie romano sta per essere svuotata e chi governa il centro vorrebbe che questo accadesse senza incidenti. Resterà chiuso per almeno 2 mesi, il tempo necessario per interventi strutturali che dovranno rendere più difficili i tentativi di fuga, le rivolte, la possibilità di protestare dai tetti. Ma in quasi tutti i Cie continuano a serpeggiare rivolte, tentativi di fuga, tensioni e violenze, da Trapani a Gradisca di Isonzo, da Torino a Milano, bollettini che parlano di feriti, di trattenuti portati in galera, di scontri. Un clima non pacificato
che raramente riesce ad uscire dalle pagine locali dei quotidiani, come se la stampa e i media in generale, soprattutto quelli più filo governativi, avessero messo la sordina ad un tema invece cavalcato nelle stagioni passate. Una sordina che non riguarda solo i Cie. Sembra quasi che il "pericolo clandestinità", gli sbarchi estivi, siano cessati grazie alle fantomatiche prodezze del ministero dell'Interno. Vero? Cercando di sfondare il muro di gomma arrivano informazioni diverse.
Dopo lo sbarcò a Porto Palo della settimana scorsa - 246 profughi in gran parte svaniti nel nulla - oltre 40 persone sono sbarcate l'altro ieri a Lampedusa mentre, quasi in contemporanea, veniva effettuata una operazione di respingimento in acque internazionali nei pressi di Malta. Altra storia assurda, un gommone con 55 cittadini somali, molte donne e bambini.
I maltesi hanno intercettato il natante, selezionato 28 persone, a detta delle autorità de La Valletta, quelle in condizioni peggiori, mentre gli altri 27 sono stati portati a bordo di una motovedetta libica con equipaggio misto - italiani e libici - e rimandati a Tripoli dove li aspetta la deportazione certa. Nella cattiveria che contraddistingue queste operazioni sono stati capaci anche di separare una famiglia. Una donna in avanzato stato di gravidanza è stata rimandata in Libia, il marito è rinchiuso in un centro di detenzione a Malta.
Del resto, proprio nei primi giorni di luglio il ministro Frattini si era incontrato a Roma con il suo omologo maltese per definire strategie comuni. Malta e Italia chiedono più risorse per Frontex, l'agenzia europea di contrasto all'immigrazione clandestina; di fatto vorrebbero una copertura politica europea più forte, sia in termini di mezzi a disposizione sia per attuare maggiori pressioni verso Gheddafi affinché rispetti gli accordi. Il timore che, all'annuncio dato dalle autorità di Tripoli della chiusura dei centri di detenzione possa seguire una ripresa delle partenze verso le coste soprattutto italiane è molto forte. Intanto le piccole imbarcazioni riescono ad entrare ma, se non respinte e riconsegnate in mani libiche, vengono dirottate verso la Sicilia meridionale per evitare di veder riaccesi i riflettori su Lampedusa.
Allora chi fugge da guerre e persecuzioni sceglie altre strade, forse più lunghe, costose o rischiose. Sono ripresi, anche se in numero limitato, gli sbarchi nel Canale di Otranto; nei container dei tir che si imbarcano dalla Grecia per i porti dell'Adriatico - Venezia, Ancona, Bari e Brindisi - si nascondono sempre più numerosi ragazzi kurdi o afgani; anche le stive delle navi commerciali sono divenute un mezzo con cui provare a sfondare la fortezza Europa. Altri, quelli che hanno i mezzi per corrompere i funzionari delle ambasciate, ottengono di poter viaggiare anche in aereo entrando con un regolare visto turistico. In pratica, visto che a Lampedusa non ci sono migliaia di persone rinchiuse si riesce a dare l'idea che il governo "cattivo" con gli "irregolari" abbia risolto il problema. Si è solo disperso sul territorio nazionale e reso più rischioso l'ingresso. Un risultato innegabilmente è stato ottenuto: si è quasi riusciti a distruggere il numero dei richiedenti asilo. Chi entra ha paura a dichiararsi profugo, sa che difficilmente le sue parole verranno ascoltate. Bel risultato per un paese che ha fra gli articoli fondanti della sua Costituzione la garanzia di accogliere chi fugge da guerre e persecuzioni.