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Detenuto in coma profondo dopo tentativo suicidio, si pensa a espianto organi
Luana De Francisco
Fonte: Messaggero Veneto, 8 agosto 2010
8 agosto 2010

Ramon Berloso, il serial killer reo confesso dell'omicidio di due escort che, mercoledì notte, ha tentato di uccidersi, impiccandosi in carcere, è in coma profondo. Le sue condizioni si sono aggravate nella mattinata di ieri, quando i medici della Clinica di anestesia e rianimazione hanno avviato le procedure di risveglio pilotato del paziente dal coma farmacologico, nel quale era stato tenuto fin dal suo arrivo in ospedale. Invece di riprendere coscienza, attraverso la graduale sospensione della somministrazione farmacologica, l'uomo ha manifestato i sintomi dell'ipossia, cioè di un ridotto apporto di ossigeno al cervello, evidenziando un quadro clinico già gravemente compromesso dal soffocamento che si era procurato in carcere.
Dove, a pochi minuti dalla mezzanotte di mercoledì, approfittando del cambio della guardia degli agenti incaricati di piantonarlo nella cella d'isolamento nella quale è rinchiuso dal 20 luglio, aveva arrotolato e passato sul cardine della finestra un lenzuolo, vi aveva infilato la testa e si era lasciato cadere nel vuoto. Pochi secondi appena e l'agente, accortosi del gesto, aveva aperto la cella e liberato il detenuto dal cappio. I sanitari del 118 giunti sul posto di lì a poco avevano fatto il resto, stabilizzando il paziente e trasportandolo poi in ospedale.
Pochi secondi, dunque, ma evidentemente sufficienti a causare al 35enne goriziano lesioni così gravi, da metterne in seria discussione le possibilità di sopravvivenza. Da qui, la decisione di sottopporlo a un'ulteriore Tac. Esame che, in effetti, nel pomeriggio di ieri ha evidenziato la presenza un edema cerebrale molto diffuso. Da qui, la decisione di mantenere la prognosi riservata, ma anche di procedere, in serata, con un elettroencefalogramma, l'esame che registra l'attività elettrica del cervello e attraverso il quale i medici contavano, quindi, di misurare la gravità delle alterazioni riportate dal paziente.
Esame che, invece, alla fine non è stato eseguito, rinviato forse di qualche ora. Privato ormai del supporto farmacologico, Berloso è piombato così in uno stato di coma profondo. "Vivo - ha riferito il procuratore aggiunto, Raffaele Tito -, ma in una situazione considerata drammatica". Situazione della quale la madre Gloria, con la quale da oltre un anno Ramon si era trasferito a vivere, nella casa di Aiello, è stata tenuta costantemente informata dai medici che, al "Santa Maria della Misericordia", si stanno occupando di Berloso. In stretto contatto anche il difensore dell'indagato, avvocato Roberto Mete, che fino all'altro giorno si era recato in carcere per incontrarlo.
Ieri, intanto, la Procura ha fatto luce anche sull'ultima delle tre lettere scritte da Berloso prima di impiccarsi e trovate nella cella, in fondo al letto, in una busta contenente gli atti del processo. Era quella scritta in portoghese e indirizzata all'amica brasiliana che, forse, avrebbe voluto raggiungere quando, braccato da polizia e carabinieri, aveva tentato la fuga verso Milano. "L'abbiamo tradotta - ha detto Tito - ma come le altre due (una rivolta alla figlia di 6 anni, l'altra alla madre, ndr) - non conteneva messaggi tali, da far sospettare propositi suicidi".

Il direttore del carcere: i controlli sono continui, l'agente è intervenuto subito

"Sono anni che, a Udine, non succedeva qualcosa del genere. O almeno, non di così grave. Certo, i detenuti che si fanno qualche taglietto con la lametta li abbiamo anche noi, ma casi di autolesionismo così estremo non ne capitavano da tempo". Il giorno dopo il tentato suicidio di Ramon Berloso, il direttore della casa circondariale di via Spalato, Francesco Macrì, si dice sorpreso di quanto avvenuto. Anche perché, nella cella d'isolamento nella quale era stato rinchiuso il 20 luglio, il 35enne goriziano reo confesso dell'omicidio di due escort era tenuto sotto stretto controllo. "Ventiquattro ore su ventiquattro - afferma Macrì.
E la prova sta nel fatto stesso che l'agente incaricato di controllarlo si è accorto subito di ciò che aveva fatto. In caso contrario, Berloso sarebbe morto subito". Né, fino a quel momento, il detenuto aveva mostrato segni d'insofferenza. "Nessun comportamento anomalo - conferma il direttore -. E le uniche persone che ha incontrato sono stati l'avvocato, gli inquirenti e i magistrati. La madre, che aveva da poco ottenuto l'autorizzazione a fargli visita, non ha fatto in tempo a vederlo". Oltre a essere costantemente osservato attraverso le sbarre e lo spioncino dagli agenti della Polizia penitenziaria, Berloso aveva a propria disposizione un numero assai ristretto di oggetti: pochi abiti e qualche effetto personale, le carte relative al suo arresto e quel che serve per la toilette (la cella è dotata di bagno). "Tutti oggetti di plastica - si affretta a precisare Macrì -, così come i piatti e le posate adoperate per mangiare. L'unica cosa con cui avrebbe potuto attentare alla propria vita erano proprio le lenzuola".