"Vengo dall'Argentina dove la mia generazione è stata massacrata. Qui pensavo di vivere in un paese civile. Invece mi sono ritrovato ammanettato, preso a calci e pugni in testa dai carabinieri, trascinato sull'asfalto, torturato e sbattuto contro i muri della caserma senza poter vedere un medico. Insultato, con i militari che mi puntavano la pistola addosso. E ancora non so perché". Isidro Luciano Diaz ha 41 anni, dei quali 23 vissuti in Italia dove, nel lecchese, gestisce l'allevamento di cavalli "Dal Gaucho". Da quando il 5 aprile dell'anno scorso è stato fermato dai carabinieri vicino a Voghera, è stato operato agli occhi 6 volte per distacco della retina e ha i timpani perforati. Ferite "compatibili" col suo racconto da incubo, scrive il medico legale nella relazione che riporta alla memoria le vicende di Federico Aldrovandi, di Giuseppe Uva, Stefano Cucchi. Di giovani morti dopo essere stati malmenati da uomini in divisa, entrati vivi in caserma o in carcere e mai usciti, tragedie di cui si è occupato lo stesso studio legale, Anselmo di Ferrara, che ora difende Diaz.
"Una storia assurda. Qualunque sia l'imputazione uno deve avere tutte le garanzie, pena la rinuncia dello Stato ad essere uno stato di diritto, perché la legittimità giuridica e morale dello stato è affidata alla capacità di garantire l'incolumità delle persone affidategli", dice sociologo Luigi Manconi che con il suo lavoro come sottosegretario alla Giustizia e poi come presidente dell'associazione a Buon diritto ha avuto una parte importante nel far emergere tutte queste vicende.
Una storia inquietante, quella raccontata da Diaz, che rischia di finire nel nulla perché la sua denuncia contro i carabinieri è a pochi passi dall'archiviazione nonostante agli atti ci sia il riconoscimento fotografico da parte dell'argentino dei militari che l'hanno aggredito. Il giudice dovrà decidere in questi giorni. Diaz, infatti, condannato a un anno poi commutato in due di libertà controllata per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni (8 giorni di prognosi ai militari), solo dopo aver patteggiato la pena ha presentato la denuncia per percosse, allegando le immagini del suo volto stravolto dalle botte, della schiena martoriata.
Ma andiamo con ordine. Il 5 aprile di ritorno da una gara di monta di vitelli mentre è alla guida della sua Mercedes, un suv nero, Diaz viene fermato dai carabinieri sulla Torino-Piacenza. Al termine di un lungo inseguimento a folle velocità, scrivono i militari. Senza motivo, ribatte l'argentino. "Vedo che hanno le pistole in pugno, ho in macchina il coltello che mi serve per i cavalli glielo mostro per consegnarglielo. Mi sono addosso, mi ammanettano e poi calci e pugni in testa, mi trascinano sull'asfalto". Portato in caserma continua il pestaggio, "mi trattavano come un pallone, buttandomi contro il muro. Mi dicevano: devi morire. Provo a chiamare un amico, mi strappano il cellulare. Alla fine ho firmato qualsiasi carta anche perché non mi chiamavano un medico".