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L'ultimo si chiamava Daniele e si è ucciso a Rebibbia
Claudia Fusani
Fonte: L'Unità, 15 aprile 2010
15 aprile 2010

L'ultimo si chiama Daniele Bellanti. Aveva 31 anni, una moglie, pluripregiudicato, dice il casellario giudiziario, droga, spaccio, reati così. Aveva l'obbligo di soggiorno a Vittoria, il suo paese, ma lo scorso ottobre aveva travalicato i confini violando la misura di prevenzione. Quando lo hanno trovato lo hanno messo dentro. Rebibbia, il suo ultimo indirizzo, sezione dei collaboratori di giustizia, stava dicendo cose su un omicidio, pare. Ma non serve più: la scorsa notte ha preso un pezzo di stoffa, se l'è girato intorno a collo, s'è appeso a una sbarra e ha tirato.

Ci deve volere molto determinazione, e altrettanta disperazione, per farla finita così. Bellanti è il ventesimo suicidio nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno. Ventiquattro ore prima in una cella a Santa Maria Capua Vetere un altro detenuto, 40 anni, sieropositivo, si è ucciso attaccandosi con la bocca alla bomboletta del gas che tutti i detenuti tengono in cella per cucinare. Due giorni prima Domenico Caldarelli, 39 anni, era riuscito a farsi un'overdose in cella a Sulmona. C.B., 40 anni, detenuto a Benevento ha utilizzato la sua calzamaglia di nylon per confezionarsi il cappio.

L'elenco è lungo, 20 suicidi dall'inizio dell'anno, 55 decessi, un trend che se non viene interrotto potrebbe battere tutti i record, di sempre. Bisognerebbe che la Lega quando dice guai a chi pensa di svuotare le carceri andasse a vedere uno per uno questi nomi, che storie anno, perché sono rinchiusi, per quali reati. Magari, uscendo dalla statistica, potrebbe provare un pò di pietas e ingegnarsi di fare qualcosa per risolvere il problema annoso del sovraffollamento carcerario. Che non vuole assolutamente dire negare la legalità o la certezza della pena. Più semplicemente assumersi la responsabilità di governare. E trovare soluzioni. L'allarme di Sant'Egidio "Emergenza carceri" è oggi un titolo che rischia di suonare vuoto, liso, ripetitivo.

E invece mai come adesso nella storia della Repubblica è pieno di significato come sanno bene il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il capo del Dap Franco Ionta. La soluzione del problema carcere fu messa da Alfano al primo punto della sua agenda nel maggio 2008. Ma da allora, nonostante lo stato di emergenza e gli annunciati piani straordinari, la situazione è solo peggiorata. Per mancanza di soldi e per i veti insormontabili del Carroccio. Senza soldi non si possono realizzare i 21 mila posti in più tra nuovi istituti e nuovi padiglioni nè si possono assumere duemila nuovi agenti. Con il no della Lega non è stato possibile, almeno finora, ricorrere a misure alternative alla detenzione. È scesa in campo anche la Comunità di Sant'Egidio che vuol dire Chiesa, diplomazia e volontariato. Ha elaborato i dati del ministero e ha presentato un conto che chiama in campo tutte le forze politiche. 67.271 detenuti al 29 marzo, record di sempre, ottomila in più rispetto al 2006 quando tra gli strazi della classe politica fu concesso l'indulto. Soprattutto, 25 mila detenuti in più rispetto ai posti disponibili (43 mila). Ma, osserva Sant'Egidio, "al crescente numero di detenuti (+5% in un anno) non corrisponde il numero di reati che anzi diminuisce". Colpa di un "malinteso concetto di sicurezza".

Quasi la metà dei detenuti ( 44,6%) è in attesa di giudizio e gli stranieri sono il 37,1% del totale. Ogni giorno entrano in carcere 440 persone per lo più per reati legati alla clandestinità e all'immigrazione. E il 32 per cento di coloro che hanno avuto una sentenza definitiva, devono scontare meno di un anno. Sovraffollamento e procedure assurde producono morti, decessi e suicidi. Perché "nelle celle non c'è neppure il posto per stare in piedi", perché gli spazi di socializzazione "sono stati destinati a brande e materassi". Perché manca personale di custodia e assistenti. Mancano le minime condizioni igieniche. È stata negata dignità e civiltà.