«Per i detenuti l'impossibilità di stare in piedi, tutti contemporaneamente, nello spazio non occupato dalle brande vuol dire scrivere, leggere, guardare la televisione e anche mangiare restando a letto». Presentando ieri (martedì 13 aprile 2010) un dossier sulle carceri italiane, Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant'Egidio, spiega alcune delle conseguenze del sovraffollamento negli istituti di pena del nostro Paese.
«Siamo dinanzi a una situazione ormai non più sostenibile», con quasi 93mila nuovi carcerati nel 2008 a fronte di una capienza regolamentare dei penitenziari pari a 43mila posti: «Un record storico, il più alto del secondo dopoguerra» (pessimo il primato dell'Istituto Dozza di Bologna, con un tasso di sovraffollamento del +139%). E mentre nel periodo gennaio-agosto 2009 si è registrato un calo medio dell'8,2% di tutti i reati commessi, gli arresti sono invece saliti del 5%, ovvero ogni giorno entrano in carcere circa 440 persone. «Ciò dimostra che c'è qualcosa di malato - insiste Marazziti -, e che c'è più sicurezza nell'inventare misure alternative piuttosto che ricorrere esclusivamente al carcere».
Anche perché una delle conseguenze più aberranti del sovraffollamento, a cui peraltro si aggiunge un calo nel numero del personale (polizia penitenziaria, educatori, ecc.), è il tasso crescente dei suicidi dietro le sbarre (11,6%), e che fa tanto più impressione se comparato alla percentuale dei suicidi nella popolazione italiana, ferma invece allo 0,6%. «Il carcere è il punto terminale di una serie di difficoltà di un intero Paese - spiega Marazziti, che con la Comunità di Sant'Egidio è impegnato da lungo tempo nella difesa dei diritti dei detenuti -, ed è una questione sensibile tanto più perché tocca, ad esempio, il tema immigrazione, della sicurezza, della tossicodipendenza». Ecco perché «non può esserci futuro in un "sistema Italia" dove l'unica risposta a tutti i problemi è il carcere». Specie se smette di essere «occasione di redenzione», puntando al solo «risvolto punitivo». I dati, in questo senso, parlano chiaro: coloro che hanno usufruito di pene alternative alla detenzione, e che sono stati quindi accompagnati in un percorso di riabilitazione, hanno un tasso di recidività del 5% mentre chi ha scontato tutta la pena torna a delinquere 2 volte su 3 (66%).
Altra leggenda nera da sfatare, quella degli "extra-comunitari cattivi": in carcere gli italiani sono il 63%, gli stranieri, invece, "solo" il 37% ma probabilmente sono quelli che pagano maggiormente la detenzione. La legge prevede infatti per loro, in presenza di determinati reati, la perdita del permesso di soggiorno (per chi ne era in possesso) e l'impossibilità di ottenerlo e rinnovarlo. Dall'aprile 2008, le competenze sanitarie per i detenuti sono state trasferite dal ministero di Giustizia al Servizio sanitario nazionale. Ciò vuol dire che i carcerati privi del permesso di soggiorno - e quindi sprovvisti di una residenza anagrafica -, non possono accedere alla copertura finanziaria delle Asl.
Per i senza fissa dimora l'uscita del carcere vuol dire non poter avere nemmeno un medico di base. Alcuni detenuti, internati negli opg (ospedali psichiatrici giudiziari) e senza appoggi familiari, nonostante possano essere dimessi, restano dentro perché non avendo la residenza non ottengono la presa in carico da parte dei servizi sociali. E se poi sono tossicodipendenti, non possono essere accolti nemmeno nelle comunità terapeutiche.
«Ecco perché - spiega Marazziti - bisogna assolutamente aprire un dibattito sulla sicurezza». La Comunità di Sant'Egidio, dal suo canto, mette sul tavolo delle proposte: ad esempio, creare in ogni regione piccole strutture socio-sanitarie per permettere di scontare la pena in misura alternativa a persone con disagi di salute fisica (ad esempio i malati oncologici) e psichica; prevedere che al momento della convalida dell'arresto i tossicodipendenti possano entrare direttamente in comunità terapeutica senza passare per il carcere; favorire il ricorso a sanzioni amministrative; investire maggiori risorse per il lavoro, come primo passo per il reinserimento nella società; potenziare il numero dei magistrati di sorveglianza, degli agenti di custodia, degli educatori e introdurre i mediatori culturali; garantire l'acquisizione della residenza anagrafica presso il carcere per i detenuti che l'abbiano persa in modo da facilitare l'accesso ai diritti sociali e sanitari.