Il presidente dell'associazione "A Buon diritto", Luigi Manconi, che si batte sin dall'inizio perché sia fatta piena luce sulla morte di Stefano Cucchi e che segue da vicino molte storie simili, ieri ha lanciato una precisa accusa: "È stata fatta disinformazione, distogliendo l'attenzione dalle violenze subite dal ragazzo".
Professore, a chi si rivolgeva?
Parto da un dato: ci sono stati tre avvisi di garanzia nei confronti di agenti di polizia penitenziaria ritenuti responsabili degli atti di violenze nei confronti di Cucchi mentre si trovava nelle celle di sicurezza del tribunale di Roma. Successivamente sono stati inviati avvisi di garanzia a sei medici del reparto detentivo del Pertini. Da questo momento in poi, quindi da mesi, l'attenzione dei media, i messaggi impliciti o espliciti della Procura, i risultati che emergono dalle diverse perizie, convergono nel concentrare l'attenzione sulla fase finale della morte di Stefano. In qualche caso si parla ancora delle violenze subìte ma come se esse costituissero semplicemente un preliminare, scollegato dall'evento morte. È un quadro profondamente falso. Dico di più: ha effetti molto negativi sull'opinione pubblica. Induce a ritenere che "ancora una volta" i colpevoli rimangono impuniti, "ancora una volta" l'ennesimo caso di violenze viene insabbiato. Con due conseguenze: la disintegrazione di un quadro di insieme e l'impossibilità di cogliere il senso di quanto è accaduto. Mentre questa vicenda è basata esattamente su una sequenza micidiale di tappe che corrisponde, ed è un dato politicamente e culturalmente decisivo, a un circuito chiuso di apparati e istituti statuali integrati l'uno nell'altro, dove Stefano Cucchi subisce in successione: violenze, illegalità, omissioni gravi.
Chi è incapace di restituire il senso delle vicende: i giornalisti o le fonti di informazione?
L'opinione pubblica da un lato esprime un atteggiamento di sedimentata disillusione, per cui si dà per scontato che tutto sia scontato, anche l'impunità; dall'altro i mass media faticano a ricostruire il senso complessivo. L'informazione è affidata ai quotidiani e ai telegiornali, che hanno un ritmo più che quotidiano. È dunque la struttura materiale dell'informazione a rispettare una sorta di mandato: evidenziare sempre ed esclusivamente l'atto finale, il più recente dei frammenti di notizia. L'"ultima verità". È fatale che la sequenza temporale degli eventi, lo sguardo lungo, la ricostruzione storica, si perdano.
E le fonti di informazione, hanno qualche interesse a "spezzettare" gli eventi?
Dal primo momento ho avuto la sensazione che l'agenzia di stampa che trattava il tema "Arma dei carabinieri" fosse assai più efficace dell'agenzia che trattava il tema "polizia penitenziaria". Il risultato è stato che su quanto è accaduto a Cucchi nelle due caserme la prima notte del fermo, non si sono avute né informazioni, né probabilmente indagini adeguate.
Ha avuto questa sensazione solo nel caso Cucchi?
Direi di no. Basti pensare alle analogie col caso di Giuseppe Uva: anche qui ci sono due medici indagati, ma nessun carabiniere. E c'è una persona che è incontestabilmente un testimone oculare che il 15 giugno 2008 presenta un esposto mettendosi a disposizione delle indagini. Ad oggi non è stato ancora interrogato dalla Procura di Varese. Mettiamola così: si parla spesso della sudditanza psicologica degli arbitri nei confronti della Juventus, squadra della quale mi onoro di essere tifoso. Ecco, diciamo che molti media e alcuni magistrati sembrano avere una certa sudditanza psicologica nei confronti dell'Arma.