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diciottesimo suicidio... e la "macabra conta" continua
Fonte: Carta, 8 aprile 2010
8 aprile 2010

Viene mantenuto il più stretto riserbo sul detenuto di 39 anni, Carmine B., napoletano, collaboratore di giustizia, che si è suicidato nella tarda serata di ieri nel carcere di Capodimonte di Benevento. L'uomo, in attesa di giudizio dopo essere finito in una retata contro lo spaccio di sostanze stupefacenti, era giunto a Benevento lo scorso 12 febbraio. Secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, l'uomo si sarebbe impiccato alla porta del bagno con una calzamaglia di nylon nella propria cella del reparto transito della casa circondariale. A soccorrere per primo e inutilmente il detenuto è stata una guardia carceraria con la quale la stessa vittima poco prima aveva scambiato anche alcune parole. Il sostituto procuratore del Tribunale di Benevento, Anna Frasca, che coordina le indagini, ha disposto l'esame autoptico sul corpo della vittima all'ospedale Rummo di Benevento che verrà effettuato nei prossimi giorni.

E con quello di oggi siamo a diciotto: diciotto suicidi in carcere dall'inizio di quest'anno. Nel 2009, secondo il dossier di Ristretti Orizzonti (www.ristretti.it), i suicidi sono stati in tutto 72. A dare la notizia di quello di questa mattina - un detenuto 39enne, napoletano, collaboratore di giustizia, che nella tarda serata di ieri si è impiccato con una calzamaglia - è stato, con un comunicato, Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe): "Abbiamo saputo da pochi minuti di un nuovo suicidio in carcere di un detenuto ristretto ad Alta Sicurezza nel carcere di Benevento, un carcere dove sono presenti quasi 400 detenuti a fronte dei circa 240 posti letto regolamentari".

Scrive il segretario del Sappe: "La carenza di personale di polizia penitenziaria (ben 6 mila unità) e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento delle carceri italiane (oltre 67 mila detenuti in carceri che ne potrebbero ospitare 43 mila, con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi".

Solo negli ultimi tre giorni sono state diverse le denuncie e le notizie provenienti dalle carceri italiane, vecchie piene e povere: lunedì una delegazione di deputati radicali ha compiuto una visita ispettiva all'Ucciardone, il carcere di Palermo. Ha denunciato il sovraffollamento e gli altri problemi del penitenziario: poco personale (ci sono 300 agenti invece dei 500 previsti), poca igiene, mancanza di riscaldamento, parenti costretti ad aspettare il loro turno di visita in mezzo ai rifiuti e senza riparo da pioggia e sole.

Martedì 6 aprile una quarantina di detenuti nel carcere di Porto Azzurro, all'isola d'Elba, ha preso in ostaggio due agenti per un paio d'ore. L'episodio è stato reso nato il 7 mattina ancora dal Sappe. Secondo Aldo Di Giacomo, responsabile locale del sindacato, l'accaduto "mette in evidenza le lacune del carcere dell'isola d'Elba e di tutto il sistema penitenziario italiano" ed è la conseguenza "delle drammatiche condizioni di vita in cui i detenuti di Porto Azzurro sono costretti a vivere. Il carcere è sporco, c'è tantissima umidità, i riscaldamenti spesso non funzionano e ci sono topi dappertutto. È impossibile lavorare e vivere con i topi che girano per la prigione".

Sempre martedì, l'agenzia Redattore sociale (www.redattoresociale.it) ha parlato della protesta di venti detenuti nel carcere romano di Rebibbia, all'interno del reparto G14, quello destinato a reclusi malati e infermi. I venti hanno iniziato lo sciopero totale della fame. Chiedono "l'applicazione della legge che prevede l'incompatibilità con il carcere per i detenuti affetti da malattie gravi". "Queste persone hanno sollevato un problema di strettissima attualità - ha sottolineato il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni - Bisognerebbe avere coraggio di investire per creare un sistema alternativo alla detenzione per rendere alla lunga le carceri più vivibili. E nel frattempo che ciò accada, adoperarsi per rendere più umane le condizioni di vita in carcere dei detenuti malati".

Domani dovrebbe iniziare in commissione Giustizia alla Camera l'esame del ddl del governo, che prevede che le pene detentive non superiori a un anno possano essere scontate in casa "o presso un altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza". Fallita per ora l'intenzione dell'esecutivo della "corsia preferenziale" al provvedimento, che fa parte del "piano carceri" presentato dal Guardasigilli Angelino Alfano il lontano 13 gennaio: non è stata trovata l'unanimità dei gruppi, infatti, alla proposta di assegnare il ddl in sede legislativa.

"Prima - spiega la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti - vogliamo verificare la reale volontà di tutte le forze politiche ad avviare un percorso normativo che sia veramente risolutivo e durevole per risolvere le cause primarie del sovraffollamento delle carceri. Una delle maggiori perplessità sull'attuale testo è che, ancora una volta, si vorrebbero affrontare le riforme sulla giustizia a costo zero".

In dissenso con la decisione del suo gruppo la radicale eletta nel Pd Rita Bernardini, che ha scritto una lettera alla Ferranti: "Vogliamo trascinare la discussione per mesi e mesi in sede referente e poi avere chissà quando il passaggio in aula e poi l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento? Arriveremo all'estate con più di 70 mila detenuti senza che nulla di concreto sia accaduto". Secondo le stime del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nel settembre 2009 circa il 32 per cento dei detenuti a seguito di sentenza definitiva scontavano pene detentive non superiori a un anno: una percentuale che è costantemente in crescita.