La riesumazione del cadavere di Giuseppe Uva. Una nuova autopsia sul corpo, fotografato dalla sorella, all'obitorio, pieno di lividi. Nuovi interrogatori per carabinieri e poliziotti in servizio a Varese la notte tra il 13 e il 14 giugno 2008 e presenti nella caserma di via Saffi. Il vertice di un'ora a Palazzo di Giustizia tra il procuratore capo di Varese Maurizio Grigo, il legale della famiglia Uva Fabio Anselmo e le sorelle della vittima, ha avuto un effetto immediato: accanto al pm titolare dell'indagine, Sara Arduini, ritorna il primo magistrato che si è occupato del caso, Agostino Abate, e che poi lo aveva lasciato alla collega quando erano rimaste in piedi solo le accuse di colpa professionale a carico dei due medici. Il segnale della procura è considerato "incoraggiante" dalla sorella di Pino Uva, Lucia.
"Chiediamo la riesumazione del corpo e una nuova autopsia - dice alla fine dell'incontro l'avvocato Anselmo - bisogna accertare quali conseguenze ebbero le lesioni riportate da Giuseppe prima di morire e soprattutto da cosa furono provocate". Durante l'autopsia - che ha collegato il decesso alla errata somministrazione di farmaci e che porterà a giudizio due medici per omicidio colposo - non furono effettuati esami radiologici. Per questo ora la famiglia chiede di "verificare se sul corpo ci sono fratture e se il pestaggio in caserma lo ha indebolito".
Ma la famiglia chiede anche nuovi interrogatori. Innanzitutto quello di Alberto Biggiogero, l'amico di Pino Uva, unico testimone - ma mai sentito - del fermo da parte dei carabinieri in via Dandolo, del trasferimento in caserma, "dove - è la sua denuncia del giorno dopo - ci fu un'ora e mezzo di pestaggio". E poi degli stessi militari che fermarono i due amici ubriachi, dei sei poliziotti rimasti negli uffici del Radiomobile per due ore senza che nelle relazioni di servizio ne emerga la concreta necessità, di medici e infermieri. I magistrati dovranno capire anche se c'era davvero rancore da parte di un carabiniere verso Uva per la relazione che la vittima avrebbe avuto con la moglie di un militare. E poi, ancora, tanti altri punti da chiarire.
"Nella relazione presentata a suo tempo dal medico legale - hanno scritto nella memoria gli avvocati - non si fa cenno ai vestiti indossati dalla vittima". Che fine hanno fatto gli slip di Pino, mai più trovati? Perché al loro posto all'obitorio c'era un pannolone? Come si spiegano le macchie rossastre sui pantaloni e "le perdite di sangue in sede anale" riportate nel racconto della sorella? Interrogativi che la famiglia spera portino presto all'iscrizione dei primi indagati, in un fascicolo che dopo due anni è ancora a carico di ignoti.