Rete Invibili - Logo
un altro caso Cucchi... forse peggio del caso Cucchi
Luigi Manconi (Associazione A Buon Diritto)
Fonte: L'unità, 20 marzo 2010
20 marzo 2010

Un altro caso Cucchi, forse peggio del caso Cucchi. Questo è il primo pensiero che viene quando ci si trova a dipanare la vicenda di violenza e di morte di Giuseppe Uva, 43 anni, per quasi tre ore in balia di un gruppo di carabinieri e poliziotti all'interno di una caserma, nella città di Varese. Violenze, forse sevizie e, poi, il Trattamento sanitario obbligatorio (Tso) nel reparto di psichiatria di un ospedale varesino: qui, a Uva fermato in stato di ebbrezza vengono somministrati farmaci che ne determinano la morte. Responsabilità gravissime delle forze dell'ordine e responsabilità di medici, quest'ultimi non sappiamo se incompetenti o semplicemente criminali.

Come associazione A Buon Diritto portiamo a conoscenza dell'opinione pubblica questa vicenda, a poche ore di distanza dalla notizia che un altro caso di morte in carcere rischia di venire insabbiato. La procura di Livorno ha chiesto l'archiviazione del procedimento sulla fine di Marcello Lonzi, trovato cadavere nella sua cella, con evidenti segni di violenze sul corpo, incredibilmente attribuiti da periti superficiali e magistrati frettolosi a una "caduta accidentale". Si può notare, in primo luogo, che ad avvicinare tre storie tanto simili c'è un ulteriore dato: compare sempre una figura di donna, sorella o madre - Ilaria, Lucia, Maria - che, sola, riesce a rompere il muro del silenzio, facendo del proprio dolore privato un'occasione di denuncia pubblica.

E questo fatto, proprio per la forza primaria che esprime, evidenzia la debolezza di chi - invece - non interviene e non urla: innanzitutto, la politica. Che dovrebbe avere a cuore la tutela dei diritti del più debole (tossicomane, immigrato, detenuto), nella consapevolezza che la lesione delle tutele per quest'ultimo produce la riduzione delle garanzie per tutti. C'è, poi, un problema grande come una casa. il nostro è uno stato di diritto, dove le forze dell'ordine hanno giurato fedeltà alla Costituzione e hanno conquistato, faticosamente e contraddittoriamente, una coscienza democratica.

Le forze dell'ordine, oggi, sono "forze democratiche" in genere rispettose della legge: ma - al loro interno - resistono e si riproducono zone segnate da forti pulsioni autoritarie e da tendenze alla sopraffazione e, in determinate circostanze, al sadismo.

Lo si è visto, sciaguratamente, nel corso dei fatti del G8 di Genova, nel 2001, e lo si vede (ma più spesso lo si intuisce o lo si teme) qua e là, in una caserma, in un centro di identificazione ed espulsione, nella cella di un carcere. Per combattere quelle tendenze contenerle e infine eliminarle, si deve partire da qui: dalla verità su Stefano Cucchi, Marcello Lonzi e Giuseppe Uva.

Mi piacerebbe che qualcuno (almeno qualcuno) tra quanti oggi partecipano alla manifestazione del centrodestra condividesse questa denuncia. O davvero si pensa che una "giustizia giusta" possa difendere il forte e il potente, chi dispone di risorse e di tutele, e non debba prioritariamente curarsi, con la massima sollecitudine, di chi è privo di qualunque protezione?


La cronaca della vicenda


Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero vengono fermati in stato di ebbrezza verso le 3 di mattina di sabato 14 giugno 2008 da una volante dei carabinieri, mentre spostano alcune transenne bloccando l'accesso a una strada del centro di Varese.

Uno dei due carabinieri all'interno della volante riconosce Uva, lo chiama per nome e inizia a inseguirlo mentre questo tenta la fuga. Alberto Biggiogero cerca di correre in aiuto di Uva, richiamato dalle grida di questo, per impedire al carabiniere di colpire l'amico. L'altro carabiniere, che guidava l'auto, lo immobilizza e gli impedisce di intervenire. Poco dopo sopraggiungono due volanti della polizia di stato, Biggiogero verrà spinto a forza in una di queste, Giuseppe Uva verrà invece costretto in quella dei carabinieri. Le tre macchine arrivano nella caserma dei carabinieri verso le 3.30 (i quattro agenti delle due volanti di polizia vengono raggiunti dall'altra volante in servizio quella notte, tutti e sei i poliziotti restano in caserma per le successive due ore fino a quando Uva non verrà trasportato in ospedale, saranno due di loro, tra l'altro, ad accompagnare in ambulanza Uva al pronto soccorso, secondo una procedura del tutto anomala).

I due amici vengono separati, Biggiogero resta in una stanza collocata a sinistra dopo il portone d'accesso alla caserma, controllato a vista da poliziotti e carabinieri. Da lì sente chiaramente le urla dell'amico provenienti da un'altra stanza, posta probabilmente sulla destra del corridoio, per un lunghissimo lasso di tempo. Grida ai presenti di smetterla di "massacrare" l'amico e viene minacciato di subire la stessa sorte.

Verso le quattro del mattino, approfittando degli attimi in cui viene lasciato solo, chiama con il proprio cellulare il 118, chiedendo l'intervento di un'ambulanza in caserma perché lì era in corso un massacro. L'operatore del 118 dice che manderà un'ambulanza, dopo due minuti chiama in caserma per accertarsi che ci sia veramente bisogno dell'intervento del mezzo, riferendo di essere stato contattato da un signore che denunciava un pestaggio all'interno della caserma. Il carabiniere che ha risposto al telefono lo fa attendere in linea per verificare, al suo ritorno all'apparecchio dice che si tratta di due ragazzi ubriachi e che ora si sarebbero occupati di toglier loro il telefonino (la trascrizione delle due telefonate è agli atti e disponibile).

Biggiogero fa anche in tempo a chiamare il padre e chiedergli di venirlo a prendere prima che il cellulare gli venga portato via. Biggiogero dichiara, poi, di non aver sentito le sirene dell'ambulanza ma che dopo circa 20 minuti dalla sua telefonata si è presentato in caserma un uomo in impermeabile con una valigetta che viene indicato come "il dottore". Nel frattempo arriva anche il padre di Biggiogero che riuscirà a portare a casa il figlio e si dice disposto a portare personalmente Uva al pronto soccorso.

I carabinieri diranno che non ce n'è bisogno in quanto l'arrivo del medico è sufficiente. Alle 5 del mattino (presumibilmente mezz'ora dopo che Biggiogero e il padre uscivano dalla caserma) una telefonata dei carabinieri alla guardia medica richiede un'ambulanza e dice che alla persona fermata deve essere effettuato un Tso. Uva viene trasferito quindi al pronto soccorso dell'ospedale di Circolo, dove viene richiesto il Tso e così, dopo circa due ore (verso le 8.30 del mattino), Uva viene trasferito nel reparto psichiatrico presso lo stesso ospedale. Due ore dopo viene constatato il decesso per arresto cardiaco.

Dagli esami tossicologici risulta che gli sono stati somministrati dei farmaci, inequivocabilmente e tassativamente controindicati in caso di assunzione di alcol. L'arresto cardiaco è stato provocato da questo "errore". La testimonianza del Comandate del posto fisso della polizia di stato ubicato presso il pronto soccorso dell'ospedale di Circolo riporta alcune affermazioni estremamente significative.

La prima: si è venuti a conoscenza della morte di Uva in ritardo "pur non trattandosi come si evince dall'allegato referto medico di evento non traumatico" (si legga: è stato un evento traumatico). La seconda: la salma di Uva giaceva "supina e senza abiti, con la parte ossea iniziale del naso in zona frontale, munita di una vistosa ecchimosi rosso-bluastra, così dicasi per la parte relativa del collo sinistro, le cui ecchimosi proseguivano con discontinuità, su tutta la parete dorsale, lesioni di cui non viene fatta menzione nel verbale medico di accettazione". Il comandante aggiunge: "che non vi è traccia degli slip del de cuius e su chi abbia provveduto alla loro rimozione dal corpo, indumento tra l'altro, neppure consegnato ai parenti (probabilmente perché intrisi di sangue).

E tuttavia non si può sottacere il riscontro obiettivo di pseudo macchie ematiche riscontrate a tergo sui pantaloni poi posti successivamente sotto sequestro unitamente agli altri capi di vestiario con un particolare inquietante riscontrato anche sulle scarpe di stoffa che stanno verosimilmente ad indicare una estenuante difesa ad oltranza dell'uomo effettuata anche con calci". Ciò è evidenziato dal fatto che "la parte anteriore di entrambe calzature destra e sinistra, si presenta vistosamente consumata". L'autopsia è stata fatta in maniere platealmente sbrigativa e parziale, senza gli esami radiologici necessari ad accertare fratture e minimizzando o ignorando l'importanza delle lesioni presenti sul suo corpo, in particolare sul dorso e nella regione anale.

A distanza di 21 mesi dalla morte di Uva l'indagine, trasferita dal primo Pm (Abate), che le aveva dato notevole impulso, a un altro (Arduini), oltre a languire sembra destinata all'inconcludenza: due medici sono indagati, ma per quanto riguarda la responsabilità di coloro che hanno trattenuto illegalmente Uva e lo hanno sottoposto a violenze, si procede contro ignoti.