Sono già 10 i detenuti che si sono suicidati in cella dall'inizio del 2010: ieri, in un solo giorno, due detenuti, uno a Fermo e uno a Padova, si sono tolti la vita.
Il giorno prima, un'altra morte nel carcere di Brescia. Il triste bilancio è reso noto dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere. La cronaca dei fatti parla da sola: il 22 febbraio 2010, alle 15.30 nel carcere di Brescia si suicida un detenuto tunisino di 26 anni, il 23 febbraio 2010, alle 17 nel carcere di Fermo si suicida Vincenzo Balsamo, di 40 anni, e poco dopo alle 23.45 nel carcere di Padova si suicida Walid Aloui, 28 anni.
Le altre sette vittime del carcere del 2010 sono: Volpi Ivano, 29 anni, il 19 gennaio a Spoleto, Mohamed El Abbouby, 25 anni, il 15 gennaio a San Vittore, Abellativ Eddine, 27 anni, il 13 gennaio a Massa Carrara, Attolini Giacomo, 49 anni, il 7 gennaio a Verona, Tammaro Antonio, 28 anni il 7 gennaio a Sulmona, Frau Celeste, 62 anni, il 5 gennaio a Cagliari, Ciullo Pierpaolo, 39 anni, il 2 gennaio ad Altamura.
Nel carcere di Padova ieri sera si è suicidato Walid Aloui, tunisino di 28 anni. L'uomo era nel carcere di Padova da circa un mese, trasferito dal carcere di Trento. Era nella sezione "protetti", accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza di Trento, fatto che sarebbe avvenuto nel novembre 2008.
I "protetti" - spiega l'osservatorio - non possono avere contatti con il resto dei reclusi, perché il tipo di reato di cui sono accusati è ritenuto inaccettabile per il "codice etico" dei detenuti, quindi vivono la detenzione in condizioni di ulteriore emarginazione, senza poter accedere alle attività trattamentali quali scuola, lavoro, sport. Walid stava, insieme a due compagni, in una cella di 3 metri per 2, più un piccolo bagno annesso.
Uno spazio al di sotto dello standard minimo di vivibilità previsto, che è di 3,5 mq a persona, sottolinea l'Osservatorio, ricordando che per situazioni analoghe lo Stato Italiano è già stato condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell'uomo di Strasburgo, che ravvisa gli estremi del "trattamento inumano e degradante" quando un detenuto non ha a disposizione almeno 3,5 metri quadri di spazio.
Nella carcere di Fermo ieri pomeriggio si è ucciso Vincenzo Balsamo, di 40 anni. L'uomo è stato trovato impiccato nel bagno dai compagni di cella, che hanno immediatamente lanciato l'allarme. Nonostante il pronto intervento della polizia penitenziaria e dei sanitari delle Croce Verde, per Balsamo non c'è stato nulla da fare: il suo cuore, che aveva cessato di battere da diversi minuti, non si è più ripreso. Sulla vicenda ha aperto un fascicolo la Procura della Repubblica di Fermo.
Al momento l'ipotesi più accreditata è quella del gesto estremo, anche se la vittima non aveva dato alcun segno di voler tentare il suicidio. L'uomo fino a poco prima della tragedia aveva giocato tranquillamente a carte con gli altri detenuti, poi si era appartato in bagno. I compagni di cella, non vedendolo rientrare, si sono preoccupati e, quando hanno aperto la porta, si sono trovati di fronte alla macabra scena.
Balsamo ieri aveva effettuato il colloquio settimanale con lo psicologo del carcere ed era apparso tranquillo: era anche un consumatore di droga e una settimana fa era scappato dalla Comunità dove era stato provvisoriamente trasferito. Così, con i due suicidi di ieri salgono a 10 i detenuti che si sono tolti la vita da inizio dell'anno.
Suicida a Fermo, dopo revoca affidamento in prova
Vincenzo Balsamo, il detenuto italiano di 40 anni che si è ucciso ieri pomeriggio nel carcere di Fermo, era stato arrestato da pochi giorni, in seguito alla revoca dell'affidamento in prova ad una comunità di accoglienza. Lo si è appreso presso il Dipartimento regionale dell'amministrazione penitenziaria delle Marche.
L'uomo era già stato arrestato altre volte in passato, sempre per reati legati allo spaccio di stupefacenti, ed aveva trascorso periodi di detenzione nello stesso carcere fermano e in quello di Ascoli Piceno. Si è impiccato nella propria cella utilizzando la cordicella dei pantaloni della tuta. Inutili i soccorsi dei sanitari del carcere e quando un equipaggio del 118 è giunto sul posto Vincenzo Balsamo era già morto. L'ufficio regionale del Dap ha avviato un'indagine amministrativa, parallela all'inchiesta aperta dalla procura della Repubblica di Fermo.
Antigone: detenuto suicida a Fermo ci aveva chiesto aiuto
Vincenzo Balsamo, il detenuto che si è suicidato ieri pomeriggio nel carcere di Fermo, aveva scritto, con alcuni compagni di cella, una lettera ad Antigone per fare ricorso, tramite l'associazione, alla Corte europea per i diritti dell'uomo contro il sovraffollamento in quel penitenziario. A renderlo noto è Stefano Anastasia, difensore civico di Antigone, l'associazione che si batte per i diritti nelle carceri.
"Nella lettera - riferisce Anastasia - Balsamo raccontava di una situazione pesante nel carcere di Fermo e di uno spazio a disposizione ben inferiore al minimo vitale, che la corte europea ha fissato in 3 metri quadrati, sotto ai quali si parla di trattamento inumano. "Come associazione - aggiunge Anastasia - abbiamo risposto a Balsamo e ai suoi compagni chiedendo maggiori dettagli per poi inoltrare il ricorso alla corte, ma lui non ha fatto in tempo a risponderci: ieri si è suicidato". Sono già oltre 1.200 i detenuti per i quali Antigone ha inoltrato ricorsi alla Corte per i diritti dell'uomo contro il trattamento inumano subito nelle carceri italiane a causa del sovraffollamento.
Detenuto suicida a Padova, la denuncia della Uil
"Non c'è troppa voglia di commentare quest'ennesima morte in carcere - dichiara Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari - abbiamo deciso di surrogare l'amministrazione penitenziaria in tema di comunicazione e trasparenza. Non possiamo non rimettere al capo del Dap, Ionta, ma allo stesso ministro Alfano l'opportunità di ritirare le disposizioni per cui il personale penitenziario non può fornire alcuna notizia autorizzata dallo stesso capo del Dap". "Padova non è quell'Eden penitenziario di cui sui favoleggia - aggiunge Sarno - ci sono evidenti criticità. Questo suicidio è la più spietata delle denunce sulle vere condizioni della casa di reclusione di Padova, tra l'altro da noi denunciate attraverso una relazione redatta al termine di una mia visita effettuata nel novembre 2008. Purtroppo le personalità che visitano gli istituti lo fanno attraverso percorsi individuati dagli amministratori del carcere. Sarebbe il caso che si visitassero le strutture in tutta la loro estensione e mettendo il naso in tutti gli ambienti".
E conclude: "Nascondere la polvere sotto il tappeto è operazione inutile, anzi dannosa. Una cosa deve essere chiara: i tanto declamati percorsi trattamentali e risocializzanti di Padova non riguardano l'intera popolazione detenuta e sono possibili solo ed esclusivamente penalizzando il personale che è sottoposto ad incredibili carichi di lavoro ed alla quotidiana contrizione dei diritti soggettivi".